Con le immagini, registrate da una telecamera di sorveglianza, diffuse ieri pomeriggio, la polizia israeliana ritiene di aver messo fine a condanne e polemiche seguite all’uccisione, compiuta due giorni fa da militari, di Ahmed Erekat, un palestinese di 26 anni che avrebbe investito intenzionalmente con la sua automobile una soldatessa ad un posto di blocco alle porte di Gerusalemme. Invece quelle immagini hanno ottenuto l’effetto contrario. Hanno alimentato le accuse non nuove rivolte alle forze di sicurezza israeliane di sparare subito, sempre per uccidere, e di non provare mai ad arrestare un palestinese responsabile di un attacco vero e presunto, anche se non è armato e in grado di nuocere. Non solo. Altri video in rete mostrano come Erekat sia stato lasciato sanguinante sull’asfalto, senza ricevere alcun soccorso, fino a quando è spirato. Sono ritornati alla mente i sette colpi sparati da un poliziotto, qualche settimana fa nella città vecchia di Gerusalemme, contro Iyad Hallaq, un palestinese autistico. L’uccisione di Hallaq ha unito le proteste di palestinesi e attivisti israeliani per il grilletto facile dei poliziotti a quelle degli afroamericani per la morte di George Floyd, soffocato da un agente di polizia.

 

Ahmed Erekat

Il video diffuso ieri mostra l’auto con alla guida Ahmed Erekat che procede lentamente verso il posto di blocco. All’improvviso il veicolo sterza verso destra e colpisce un gabbiotto del checkpoint. Si vede una soldatessa sbalzata dall’impatto (ha riportato ferite leggere). Erekat esce dall’auto ma è colpito subito dalle raffiche dei militari presenti. Non aveva armi. Per gli israeliani quella sterzata è la prova dell’attacco intenzionale. La famiglia, gli amici e tanti palestinesi respingono questa versione.  «Era un giovane innamorato – riferiva ieri sul quotidiano Haaretz, Dalal Erekat, cugina dell’ucciso e figlia di Saeb Erekat, il segretario dell’Olp -, avrebbe dovuto sposarsi alla fine di maggio ma il matrimonio è stato ritardato a causa della pandemia di coronavirus. La sua fidanzata mi ha parlato della nuova casa che stavano preparando e dei preparativi per il matrimonio, dell’abito, dei gioielli, dei mobili che avevano acquistato. Ahmed non ha attaccato nessuno. Questa è la vera storia della sua vita. Non lasciate che l’occupazione (israeliana) riscriva la sua storia».

 

Il padre e la madre di Ahmed escludono categoricamente che il figlio possa aver pianificato un attacco. Rispondendo a un video in cui il giovane appare depresso e parla di false accuse di «collaborazionismo» con Israele che qualcuno gli rivolgeva da qualche tempo, i genitori ripetono che Ahmed era tranquillo e che due giorni fa era diretto a Betlemme dove lo attendevano la madre e la sorella in un salone di bellezza, in vista del matrimonio della ragazza previsto in giornata. «Ahmed non avrebbe mai commesso un attacco simile – spiegano i genitori – figuriamoci nel giorno del matrimonio di sua sorella. Era di corsa, deve aver perduto il controllo dell’auto e i soldati hanno scambiato quella improvvisa deviazione per un attacco. Aveva noleggiato quell’auto proprio per il matrimonio della sorella». Un’altra cugina di Ahmad, Noura Erekat, noto avvocato dei diritti umani e docente alla Rutgers University del New Jersey, ha inondato di messaggi Twitter e Facebook: «Menti. Uccidi. Menti. Questo è mio cugino. Gli unici terroristi sono i codardi che hanno sparato per uccidere un bellissimo giovane». I social ieri erano colmi di post su Ahmed Erekat. «Gli hanno sparato senza pensarci due volte e lo hanno lasciato morire. Quando sei palestinese prima ti ammazzano e poi ti accusano di terrorismo», hanno scritto in tanti.

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