Le manifestazioni non si fermano in Francia contro la Loi Travail, mentre il governo ha scelto le maniere forti, facendo ricorso all’articolo 49.3, per far passare senza voto in prima lettura il testo di riforma all’Assemblea. Sindacati tradizionali e giovani precari protestano assieme. Contemporaneamente, il movimento Nuit Debout si radica, non solo in place de la République a Parigi.

Malessere diffuso, rabbia contro la delusione di un governo che avrebbe dovuto essere di sinistra? Lo chiediamo al sociologo Christophe Aguiton, tra i fondatori di Attac France, che insegna all’università di Paris Est-Marne-la-Vallée e alla Sorbonne, dove dirige un seminario su “Internet, comunicazione e società”.

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 La legge sulla riforma del lavoro ha catalizzato tutti gli scontenti?

La Loi Travail non è una cosa di secondaria importanza, perché il governo prevede di rovesciare la gerarchia delle norme, cioè di dare la priorità agli accordi a livello aziendale su quelli di categoria. In Francia sono sempre stati dominanti i contratti nazionali, a differenza di altri paesi, come Gran Bretagna o Usa. Con questa inversione tutto dipenderà dal rapporto di forze a livello locale. Nella piccola e media impresa, i sindacati sono deboli e si teme che firmino accordi sfavorevoli per i lavoratori. Lo vediamo oggi con la presenza dei camionisti nella protesta: combattono la norma della nuova legge che permetterà di abbassare la remunerazione degli straordinari, oggi pagati il 25% in più, aumento che puo’ arrivare fino al 50%, e che con la Loi Travail potrà diminuire fino a solo un 10% in più. Nel trasporto su strada, è molto forte la presenza di piccole e medie imprese e i camionisti calcolano che perderanno 200-300 euro al mese con le nuove norme.

Il movimento va al di là della Loi Travail? La prima scintilla è stata la proposta, poi ritirata, della privazione della nazionalità per i bi-nazionali accusati di terrorismo?

Sì, ci sono altre ragioni. Per il popolo di sinistra c’è stata una serie di lacerazioni negli ultimi mesi. La questione della privazione della nazionalità per i bi-nazionali è stata di enorme importanza. In più, si sono aggiunte anche le dichiarazioni fatte in Germania dal primo ministro, Manuel Valls, quando ha criticato apertamente la politica di accoglienza dei rifugiati di Angela Merkel. La questione dei rifugiati è molto importante per il popolo di sinistra. In più, c’è una terza frattura: quella ambientale. Il governo ha proposto un tentativo di referendum per il contestato aeroporto di Notre-Dame-des-Landes, ma con un diritto a votare limitato, che non riguarda tutte le persone che sono coinvolte. Anche sul nucleare c’è la netta sensazione che il governo stia facendo di tutto per evitare di ridurre l’importanza di questa fonte di energia. Per riassumere, siamo di fronte a una crisi sociale, morale e ambientale: in tre mesi, queste fratture sono state il motore che è alla base del movimento Nuit Debout, che è più globale, e delle manifestazioni in corso contro la loi Travail.

Questi movimenti hanno luogo in un periodo in cui si profila la minaccia dell’estrema destra o almeno di un ritorno della destra al potere tra un anno. La spaccatura della sinistra aggrava il rischio?

Sfortunatamente, c’è questo rischio, anche se non credo che nel 2017 il Fronte nazionale possa vincere le presidenziali. Ma i Républicains sì. Al tempo stesso, bisogna dire che per un governo, che non applica una politica di sinistra, questo è il prezzo da pagare. La destra non sarebbe mai riuscita a far passare una legge di riforma sul lavoro come quella che la maggioranza del Ps sta tentando di fare, anche contro una minoranza interna. In questo momento, destra e sinistra sono nozioni che hanno minore importanza di prima. Gli iscritti sono in calo, le opinioni sono meno dipendenti dalle affiliazioni ai partiti.

È una rivolta generazionale?

Alle manifestazioni la presenza dei giovani è più forte che nei cortei sindacali tradizionali. Una metà sono militanti sindacali tradizionali, ma l’altra metà ha sui vent’anni. I giovani in Francia, come in altri paesi europei, reagiscono al precariato che li minaccia: iniziano a entrare nel mondo del lavoro con uno stage, poi un altro stage, poi si passa ai contratti a termine. Prima era un percorso che portava a contratti stabili, a tempo indeterminato. Oggi viene detto loro: non l’avrete mai. I giovani reagiscono a questa minaccia, ma non solo. Sulla sfondo, ci sono altre lotte, come ho detto prima, quella ambientale e lo strappo della nazionalità.

Vede uno sbocco politico, come è successo in altri paesi con i movimenti degli Indignati o Occupy?

Quello che conta per il momento è il movimento di piazza. In Spagna, Grecia, Gran Bretagna o negli Usa i movimenti, dagli Indignados a Occupy, hanno avuto un impatto politico forte, per esempio Syriza, che era un piccolo partito o Podemos che invece è nuova formazione, in Gran Bretagna hanno permesso l’elezione di Jeremy Corbyn, con la generazione di Occupy che è entrata nel Labour e ha utilizzato a suo vantaggio la riforma fatta a suo tempo da Tony Blair per limitare l’influenza dei sindacati. Negli Usa, i giovani di Occupy sono dietro Bernie Sanders. In Francia le elezioni sono tra poco, tra un anno ci sono le presidenziali e in autunno si entrerà già in piena campagna. Non so se ci sarà tempo per un impatto politico immediato. Ma Nuit Debout avrà conseguenze politiche più a lungo termine.