Intraprendere nuove pratiche agronomiche è diventata una necessità per fermare i pesticidi, la più numerosa categoria di sostanze chimiche usate in agricoltura. Si tratta di un campionario di prodotti che, in base allo scopo che si prefiggono, vengono distinti in erbicidi(o diserbanti), insetticidi, acaricidi, fungicidi(o anticrittogamici), nematocidi(o vermicidi), etc.

Sul mercato italiano viene commercializzato un migliaio di prodotti per uso agricolo che rientrano nella categoria dei pesticidi, con 350 molecole attive. L’Italia detiene il triste primato nell’impiego di pesticidi in agricoltura. I dati ISTAT indicano in 140 milioni di kg la quantità venduta nel 2015 nel nostro paese. Rapportando questo dato alla superficie coltivata in Italia, risulta che in quell’anno sono stati impiegati 7,2 kg di pesticidi per ettaro(nei primi anni del 2000 si arrivava a 10 kg per ettaro). Ma nelle aree in cui vi sono coltivazioni intensive di frutta(come le mele) si superano i 50 kg per ettaro. Unbombardamento chimico.

LA LOGICA CHE SI E’ AFFERMATA non è quella di usare la minima dose efficace, ma la massima dose possibile, col risultato di eliminare tutte le forme di vita esistenti nell’area coltivata, ad eccezione della pianta che interessa. L’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) nel suo ultimo rapporto parla di «basso rischio» per i consumatori europei e che «l’Europa riesce a proteggere i consumatori, tenendo sotto controllo la presenza di residui di pesticidi nei limiti di legge». Si afferma,inoltre, che «il 97,1% di tutti i campioni analizzati rispetta le norme».

Tutto tranquillo? No, purtroppo. Perché vengono analizzate le singole sostanze chimiche e si valuta solamente la concentrazione di ciascuna di esse per arrivare ad affermare che «i residui sono nei limiti di legge». Siamo in presenza di un grave vuoto normativo che va contro la salute dei consumatori in quanto non viene considerato l’insieme dei residui presenti. Gli alimenti che noi ingeriamo contengono un cocktail di residui di pesticidi, con i gravi fenomeni di accumulo nel nostro organismo. E’ necessario introdurre norme che impongono di valutare l’insieme delle sostanze chimiche presenti nello stesso alimento, al fine di calcolare il complesso dei residui di pesticidi.

I DATI DEL MINISTERO DELLA SALUTE, riferiti al 2015, indicano che il 45% dei campioni di frutta, il 30% degli ortaggi, il 9% dei campioni di olio presentano residui di pesticidi. Sono stati trovati fino a 5 tipi diversi di residui nelle mele,8 nelle fragole,15 in un campione di uva da tavola. Nel 2016 l’ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale), su 885 analisi effettuate sul vino, ha rilevato che il 41% conteneva almeno un residuo di pesticidi. Negli alimenti di importazione si riscontra una maggiore quantità di residui. Ha fatto scalpore, qualche anno fa, l’individuazione di ben 21 diversi residui di pesticidi in alcuni campioni di tè provenien te dall’Asia. Questo significa che i pesticidi hanno invaso le nostre tavole e per trovarli negli alimenti basta cercarli. L’ISDE(Associazione medici per l’ambiente) ha ripetutamente messo in evidenza come l’esposizione ai pesticidi comporti gravi conseguenze per la salute umana, con lo sviluppo di patologie di tipo respiratorio, nervoso, endocrino, immunitario, cardiovascolare, renale, riproduttivo.

LE AZIENDE AGROCHIMICHE HANNO sempre sostenuto che l’uso dei pesticidi è necessario per ottenere una produttività elevata e sfamare la popolazione mondiale. Ma il problema della fame nel mondo non è questione di produttività, ma di distribuzione degli alimenti. I dati dimostrano che il massiccio e indiscriminato uso di pesticidi non solo ha conseguenze sulla salute umana, ma sta determinando devastazioni ambientali e distruzione della biodiversità. L’inquinamento delle acque, del suolo, dell’aria, gli effetti sugli organismi «non bersaglio», sono aspetti ignorati per troppo tempo. Sono almeno 60 i tipi di pesticidi rilevati in Italia nelle acque superficiali e sotterranee. Secondo i dati dell’ISPRA (Istituto per la protezione e la ricerca ambientale), la presenza di pesticidi è stata rilevata nel 64% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 32% delle acque sotterranee. Sono gli erbicidi le sostanze più presenti nelle acque, con il solito glifosato che la fa da padrone. Ma tutte le categorie sono ben presenti. In un singolo prelievo effettuato nel 2016 nella zona di Ferrara, in un canale che porta le acque nel fiume Po, è stata rilevata la presenza contemporanea di 30 pesticidi diversi. Sono dati che ci fanno comprendere il livello di contaminazione ambientale. Ma non sono i pesticidi l’unica scelta possibile per combattere erbe infestanti e insetti dannosi per l’agricoltura.

NEGLI ULTIMI ANNI SI STANNO AFFERMANDO nuove convinzioni, che mettono in discussione le pratiche impiegate dall’agricoltura convenzionale. L’agroecologia e l’agricoltura biologica si stanno ritagliando spazi sempre più ampi. Attualmente l’11,3% della superficie agricola italiana è coltivata con tecniche biologiche. Dal 2010 ad oggi la superficie coltivata con metodo biologico ha avuto un incremento superiore al 60%. Vengono riprese tecniche di coltivazione che erano state abbandonate. La rotazione delle colture, considerata una tecnica superata, svolge un ruolo importante nel determinare un ambiente sfavorevole allo sviluppo delle erbe infestanti, che possono essere controllate mediante diserbo meccanico, senza dover ricorrere al glifosato. Si può fare a meno dei pesticidi se si opera per mantenere la fertilità del suolo, se vengono salvaguardate le comunità microbiche presenti nel terreno, se si favorisce la biodiversità dei vegetali, se si proteggono le api e gli insetti impollinatori, se viene condotta una lotta biologica agli insetti dannosi. Se solo una piccola parte degli investimenti utilizzati per produrre agrotossici fosse stata impiegata per sviluppare la lotta biologica, non avremmo avuto la distruzione di alcune categorie di insetti utili. E’ il caso delle api.

DA ANNI GLI APICOLTORI DI TUTTO IL MONDO lanciano allarmi sull’impiego dei neonicotinoidi, una categoria di insetticidi messa in commercio a metà degli anni ’90 e che sta distruggendo le popolazioni di api. Solamente nel 2013 l’EFSA ha pubblicato un rapporto in cui si confermano i gravi effetti che i neonicotinoidi hanno sulle api. Ma sono numerose le categorie di insetti utili in grave pericolo. Quello degli insetti è un processo evolutivo durato 300 milioni di anni. E’ stato sufficiente qualche decennio di uso indiscriminato dei pesticidi per sconvolgere l’equilibrio esistente in natura tra insetti fitofagi (che vivono nutrendosi delle piante) e insetti entomofagi (che si nutrono di altri insetti). La coccinella è diventata il simbolo dell’agricoltura biologica, perché è una predatrice naturale degli insetti fitofagi. La resistenza che molti insetti fitofagi hanno sviluppato nei confronti dei pesticidi non può essere affrontata immettendo sul mercato nuove molecole, come vorrebbero fare i produttori mondiali di pesticidi, ma favorendo un aumento del numero di coccinelle nell’ambiente. Più coccinelle e meno pesticidi è l’unica via percorribile.