E’ sul fronte agroalimentare il neoliberismo in crisi gioca la sua ultima partita. Se fosse altrimenti, si capirebbero meno le logiche di quell’accordo transatlantico che costringe ad acrobazie di pronuncia: il Ttip. In gioco sono i brevetti su cibi e sementi, la possibilità di sfondare il muro protezionista europeo e introdurre finalmente, senza obbligo di etichetta, alimenti geneticamente modificati o semplicemente imbottiti di ormoni e antibiotici, nonché l’abolizione delle denominazioni geografiche. Insomma, come ha spiegato bene una puntata di Report qualche giorno fa, si tratta di dividere i consumatori in due: da una parte la massa di chi mangia prodotti a basso costo e altrettanto carente qualità, dall’altra un’élite attenta ai cibi biologici ed ecosostenibili.Un meccanismo che aumenta i profitti di pochi e produce sfruttamento del lavoro: nelle campagne italiane già oggi, senza il Ttip, migliaia di migranti lavorano per due euro all’ora.

E’ questo il tavolo da ribaltare e un paese come l’Italia, dove la civiltà contadina ha sedimentato una cultura che continua a rispuntare qua e là in forme impreviste, ha tutte le carte in regola per farcela. La partita si gioca non solo nelle stanze chiuse della politica ma pure sul campo, come dimostrano i contadini e allevatori africani e dell’America Latina che da oggi saranno a Torino per partecipare a Terra madre. Si tratta di recuperare saperi e prodotti, abituare palati, sconfiggere i Mac Donald’s con le focaccerie come è accaduto qualche anno fa ad Altamura (vedere, per credere, il film Focaccia blues di Nico Cirasola), organizzare bioresistenze.

Resta un nodo di fondo: ritagliarsi uno spazio dentro e ai margini del mercato o restarne radicalmente al di fuori? I “nuovi contadini” italiani rimangono in gran parte all’interno. Altri, per dirla con il filosofo-saggista-poeta americano Hakim Bey, creano delle “zone temporaneamente autonome”, dove le logiche del capitale rimangono alla porta. Quello che cambia, in ogni caso, è l’aspetto etico della produzione, il rifiuto dell’industria agroalimentare che sfrutta allo stesso tempo i lavoratori e la natura, offrendo prodotti a basso costo e ancora più scarsa qualità, e la creazione di propri canali distributivi: Genuino clandestino, Terra Terra, Slow Food, le botteghe di Libera con i prodotti provenienti dai terreni confiscati alla mafia, i Gruppi d’acquisto solidale che soprattutto in Brianza si sono strutturati in Distretti nei quali produttori e consumatori si incontrano senza mediazioni, le ormai consolidate reti del Commercio equo e solidale o legate al biologico, i punti vendita dei cibi e dei vini prodotti sui terreni confiscati alla mafia, i farmers market, i mercatini organizzati nei centri sociali, la Città dell’Altra economia a Roma. Quella che si va configurando è una sorta di società alternativa che si autorganizza e cresce nel corpaccione consumista (nonostante la crisi economica) del Belpaese. E’ la nostra trincea contro l’avanzata dei nuovi califfi del neoliberismo.