L’agonia dell’Unità continuerà fino al 10 febbraio. L’assemblea tra il socio di maggioranza («Piesse» del gruppo Pessina e Eyu per conto del partito democratico) che avrebbe dovuto decidere ieri le sorti dello storico quotidiano è stata rinviata. Entro dieci giorni i soci si incontreranno per decidere se metterlo in liquidazione, rifinanziarlo oppure trasformarlo in un settimanale. Una nuova assemblea darà il responso.

«Si è scelto di lasciar passare altro tempo senza dare risposte alla redazione che da mesi continua a porre domande precise e chieder garanzie per la sopravvivenza del quotidiano e il mantenimento dei livelli occupazionali – sostengono i giornalisti del comitato di redazione per i quali nessuno in questa vicenda “può considerarsi assolto”». «Non l’azionista di maggioranza, che in queste settimane ha eluso ogni confronto rispondendo con gli insulti e le minacce alle più che legittime istanze della redazione. Non il Partito democratico, che nello stesso tempo non è andato oltre le rassicurazioni vuote sull’impegno per il futuro del giornale».

Dal nuovo rinvio traspare un braccio di ferro tra i soci, mentre non è affatto chiaro il futuro dei giornalisti e dei lavoratori. «Il rimpallo di responsabilità, lo scaricabarile, i veleni incrociati e le veline fatte circolare ad arte e ad orologeria per screditare sono le armi di chi ha scelto di infilare questo giornale nella palude e lasciarlo affondare senza assumersi la responsabilità dell’assassinio» attacca il Cdr.

Il Pd di Renzi non sembra orientato ad aprire un nuovo fronte nei delicati, e molto precari, equilibri in un partito a rischio scissione. Chiudere l’Unità, mentre si farà l’impossibile per arrivare alle elezioni politiche a giugno potrebbe comportare altre polemiche e una nuova perdita di immagine. «Figurati se chiudo l’Unità sotto elezioni, perché ormai siamo sotto elezioni» ha detto Renzi al direttore Sergio Staino in una conversazione telefonica di ieri mattina. «Ma non ha fatto nulla per salvarla. E le sue parole di oggi non lasciano presagire nulla di buono».
«Era incazzatissimo con me perché l’ho chiamato cafone – ha detto Staino a Radio Popolare – Non mi sembra molto offensivo per uno come Renzi, si potrebbero usare parole più pesanti. Uno che promette e poi sparisce, non so se cafone è la parola giusta. Certo non è un modo elegante di comportarsi».

***Intervista. Staino: «Renzi mi ha promesso di salvare l’Unità»