Tragedia e filosofia (Castelvecchi, pp. 240, euro 18, traduzione di Andrea Vestrucci) è l’ultima opera che la filosofa ungherese Ágnes Heller ha scritto prima della sua scomparsa avvenuta nel luglio dell’anno scorso all’età di novant’anni. Il libro riflette sul rapporto storico fra tragedia e filosofia e, come si legge nella prefazione di Andrea Vestrucci, «si pone la domanda sulla fine di questa storia».

L’OPERA CONTIENE una ricostruzione della storia culturale dell’Occidente attraverso l’analisi delle connessioni esistenti fra drammaturgia e indagine filosofica. La tragedia esprime in sé le tensioni che contraddistinguono un determinato tempo storico e apre la strada alla sua comprensione filosofica. A sua volta la filosofia, riflettendo sul suo tempo, introduce nuovi concetti che forniranno la base per nuove rappresentazioni drammaturgiche. Tragedia e filosofia stabiliscono in questo modo un rapporto di mutuo scambio che contribuisce in modo determinante o meglio, conferisce dinamismo allo sviluppo della storia. E questa ricostruzione parte dal teatro e dalla filosofia dell’antica Grecia per arrivare alla contemporaneità attraverso un percorso storico complesso e articolato.

Agnès Heller

Nel libro si menzionano e analizzano diverse opere drammaturgiche che sono state specchio di un’epoca, ne hanno espresso dubbi, inquietudini e incertezze anche quando la loro ambientazione era collocata in momenti storici precedenti, e si evidenzia la relazione con le scuole di pensiero loro contemporanee. Infatti, per citare ancora Vestrucci, «l’analisi della filosofia è tutt’uno con l’analisi della tragedia, l’una non può darsi senza l’altra, l’una ha bisogno dell’altra».

Scorrono nelle pagine che ricostruiscono questo tempo storico elaborato fra rappresentazione e analisi/interpretazione, l’Antigone di Sofocle, l’Amleto e Giulietta e Romeo, le opere di Ibsen, incentrate sui cambiamenti loro contemporanei in termini di storia sociale e di acquisizione della coscienza di sé da parte delle donne, e il teatro di Brecht. Fanno da riscontro a esse l’etica aristotelica, le teorie seicentesche delle passioni, l’illuminismo, l’utopia marxiana, l’esistenzialismo e la decostruzione.
Presente anche la musica quale altra espressione di diverse prospettive e visioni del mondo delle varie epoche storiche, anch’essa partecipe di cambiamenti epocali e intenta, talvolta a sottolineare se non addirittura a sostenere e incoraggiare aspirazioni di popoli e mutamenti storici destinati a segnare il vissuto europeo anche quando non realizzati immediatamente.

IL CONCETTO DI FINE, nel senso di conclusione, è ricorrente nell’opera. Come già precisato, la domanda di fondo è sulla fine di questo percorso, dell’intreccio profondo fra tragedia e filosofia. Così la Heller dedica spazio al concetto di «fine della storia» e ricorda che «fine significa arrivare all’obiettivo, al punto massimo che include tutto ciò che lo precede», e allora cosa si intende per «fine della storia?». Questa espressione contiene il risultato della riflessione sul cammino europeo e sulla modernità un tempo solo europea. La Heller scrive di trovarsi d’accordo con Hegel sul fatto che «la modernità così come si è sviluppata in Europa è la fine della ‘storia mondiale’ così come fu inventata, formulata e realizzata in Europa negli ultimi cinquecento anni».

CHIARAMENTE HEGEL non poté assistere al ridimensionamento dell’Europa a seguito della diffusione della modernità nel resto del mondo. La modernità è nata in Europa ma non è più europea o non solo: «fine della storia» sarebbe quindi la formula con cui evidenziare il raggiungimento da parte dell’Europa delle sue potenzialità in termini di realizzazione storica, la fine della sua identità di motore capace di produrre eventi storici di portata mondiale nel bene e nel male. Oltre cent’anni fa «l’Europa era il centro dominante del mondo. Una guerra europea provocò una guerra mondiale», cosa che oggi, fa notare la Heller, non potrebbe accadere dato il ridimensionamento storico del ruolo europeo nel mondo.

Fine della storia quindi ma «la fine della storia europea – scrive la filosofa in questa sua opera che chiude il suo ciclo sull’estetica – lascia due statue dietro di sé: tragedia e filosofia. Sono statue, non cadaveri, perché restano aperte all’interpretazione».
Vestrucci mette in relazione il tema di questo libro con la scomparsa della sua autrice nelle acque del Balaton, durante una nuotata. E la fine, fa notare il prefatore e curatore dell’opera, non è un evento puramente tragico ma la conclusione «di una storia ricca di senso», questo si può dire dell’Europa e di Ágnes Heller.