Quando nel 2014 Sergio Marchionne portò a compimento la fusione di Fiat con Chrysler spostando la sede sociale e fiscale da Torino a Olanda e Regno Unito, l’allora ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni (governo Letta) alzò le spalle: «Non c’è nulla di irregolare». Peccato che cinque anni più tardi (2019) l’Agenzia delle entrate contestò a Fca di aver sottostimato di ben 5,1 miliardi l’acquisizione di Chrysler (7,5 miliardi invece dei reali 12,6). A febbraio il contenzioso si è chiuso con un accordo chiaramente favorevole ad Fca: dovrà pagare solo 730 milioni, quasi la metà della richiesta iniziale del fisco italiano: 1,3 miliardi.

Il trasferimento della sede fiscale a Londra ha favorito soprattutto la famiglia Agnelli e i suoi manager. La differenza principale con il sistema italiano sta infatti nell’irrisoria aliquota applicata alla distribuzione dei dividendi. Parola utopica nel 2014 che l’abilità di Sergio Marchionne nella finanziarizzazione dell’ex Fiat ha tramutato in realtà dal 2017 in avanti. Sono stati i dividenti della galassia Fca (Chn, Magneti Marelli) a fare ricca gli Agnelli, a partire da John Elkann, tramite la finanziaria di famiglia Exor, socio primario di Fca. Sommando i dividendi dei vari bilanci si arriva ad una cifra simile al prestito da 6,3 miliardi richiesto ora allo stato italiano: 870 milioni nel 2017; ben 2 miliardi nel 2018, un miliardo nel 2019 a cui vanno aggiunti 2 miliardi di cedola straordinaria per la cessione di Magneti Marelli.

La stessa cosa avverrà a novembre con la confermata fusione con Psa. L’accordo fa felice soprattutto la famiglia che – in cambio del via libera a Tavares per la guida del nuovo gruppo – si vedrà riconosciuta 5 miliardi di dividendo, naturalmente tassato a Londra, visto che la nuova società manterrà sede fiscale lontano da Italia e Francia.

[do action=”citazione”]Il fatto che la società controllante – Fca – sia all’estero permette «giochi fiscali nei bilanci che consentono di eludere centinaia di milioni all’anno», spiega un fiscalista[/do]

Al putiferio scatenato dall’indiscrezione del prestito richiesto allo stato italiano, Fca e liberisti oppongono che le tasse di Fca Italy sulle attività produttive degli stabilimenti nostrani sono sempre state pagate al fisco italiano. Vero. Ma il fatto che la società controllante – Fca – sia all’estero permette «giochi fiscali nei bilanci che consentono di eludere centinaia di milioni all’anno», spiega un fiscalista sotto il vincolo del riserbo. «Centinaia di milioni» che nel caso dell’Irap sono stati sottratti proprio alla sanità, comparto direttamente finanziato con i proventi dell’imposta regionale sulle attività produttive. Sanità pubblica che nel caso del Piemonte ha mostrato tutte le sue pecche, sebbene gli Agnelli e la Juventus si siano premurati di aiutarla con «cospicua beneficenza esentasse».

Ultima annotazione: più di una fonte al ministero dell’Economia sostiene che la richiesta di prestito all’inizio non prevedesse il finanziamento della «filiera dell’automotive», comunicata successivamente da Fca. E che la stessa sia poi semplice pagamento di fatture che Fca deve ai produttori di componenti.