Aglio, fravaglio, fattura ca nun quaglie/ corna, bicorna, capa r’alice e capa r’aglio.
La superstizione, dal latino superstitione(m) derivato di superstare ‘stare sopra’, indica lo status di testimone, superstes, ovvero colui che per essere sopravvissuto a un evento passato può dichiarare quanto sia realmente avvenuto. Ogni epoca e ogni cultura hanno la propria idea in merito. Nei primi secoli del Cristianesimo, essa ha indicato ciò che restava degli antichi culti pagani. Qualche volta è stata utilizzata per identificare i rituali di popoli non ancora convertiti al Cristianesimo, come i Longobardi, gli Unni, i Germani, i Sassoni, gli Slavi, nonché le culture denominate ‘primitive’. Ha acquisito un significato discriminante e venefico quando la Chiesa ufficiale se ne è servita per condannare il patrimonio delle credenze popolari. Anche nella sfera del pensiero laico è stata strumentalizzata per celare l’affermazione delle credenze contrastanti con la razionalità e appartenenti al mondo dell’immaginario, dello spiritismo e dei numerosi occultismi. In realtà, le superstizioni servono a dar senso agli aspetti più oscuri e sfuggenti del mondo, della natura, della società.

E soprattutto aiutano a riconoscere e controllare ansie, paure, insicurezze. È plausibile che una decodificazione possa esser individuata in psicologia e in antropologia, dove le superstizioni si palesano come veri e propri ‘congegni’ di protezione e rassicurazione, attraverso cui gli individui e pure l’intera comunità possono ipotizzare scusanti per i propri fallimenti e incertezze. È un fenomeno preponderante specialmente in periodi attraversati da sofferenze e disagi, come evidenzia l’antropologo partenopeo Alfonso Maria di Nola (1926/1997): «D’altra parte, sempre in una prospettiva antropologica, esse vengono a configurarsi come la cesura storica fra un tempo trascorso e un tempo nuovo che, per meglio autodefinirsi, avverte la necessità di cancellare e obliterare il passato». Napoli, nell’immaginario collettivo, è la città sulla quale si sono eretti molteplici stereotipi. Uno di questi è sicuramente quello del napoletano superstizioso con un fortissimo credo nella jettatura e nel malocchio. Questi ultimi si fondano sui poteri malefici dell’occhio e dello sguardo, che rappresentano i fondamenti simbolici della nostra cultura. Nelle culture rurali, lo jettatore non opera soltanto attraverso lo sguardo, ma anche attraverso un insieme di particolari che finiscono col plasmare un vero e proprio prototipo: vestire di nero come quando si è a lutto, portare gli occhiali neri, essere magro, avere il volto triste, ostentare apprensione per la salute o per i malanni altrui. Il malocchio è parte integrante, come accennato poc’anzi, della cultura napoletana e campana.

È a Napoli che si manifesta una forma di ansia verso persone, animali, contesti che provocano malasorte. A personaggi famosi, del passato ma anche di oggi, è stata addossata ingiustamente e ignobilmente tale nomea, e gli altri sono ricorsi ad amuleti o a gesti apotropaici, qualora fossero stati costretti ad avere a che fare con loro. Ciò che più colpisce quando si cammina per Napoli è l’incalcolabile quantità di curnicielli, piccoli corni, che si scorgono ovunque: quelli venduti come souvenir, quelli presenti nelle case e nei negozi, quelli indossati come gioielli: orecchini o ciondoli pendenti da collane e bracciali. Amuleti che devono essere regalati e sistemati in un posto nascosto. Gli ‘antenati’ di tali oggetti sono le corna degli animali, che nella cultura greca e romana vantavano un considerevole potere contro i malefìci. A tutt’oggi, nelle campagne, le corna di bue sono fissate all’esterno delle stalle e delle abitazioni, e talvolta sono pitturate di rosso. L’importanza apotropaica del curniciello è avvalorata anche dall’iconografia della collanina di corallo, con o senza amuleti, presente nei dipinti del Bambino Gesù in braccio alla Madonna. Ne sono un esempio la Madonna di Senigallia (1474) di Piero della Francesca, dove il Bambino Gesù ha una rosa bianca in mano e una collana di perle rosse con un rametto di corallo al collo a sua protezione, e la Pala della Vittoria (1496) di Andrea Mantegna, dove un ramo di corallo è appeso, mediante filamenti di perle, cristalli e coralli, sopra il trono che ospita la Madonna e il Bambino. Va sottolineato che il valore del curniciello accresce se è di corallo, materiale pregiato e difficilmente reperibile, perché celato negli abissi marini. Sin dall’antichità si ricorre, oltre all’amuleto, alla gestualità della mano, o meglio, della mano-corna: l’indice e il mignolo sono tesi in alto a forma di U, mentre il pollice blocca il medio e l’anulare, a loro volta flessi. Secondo Alfonso M. di Nola, le corna raffigurerebbero per di più «un sostituto simbolico del fascinum dei Latini, che è il fallo».

Fare le corna è il segno rappresentativo della potenza fisica per contrastare chi o cosa provoca in quel momento disagio o angoscia. Ciò spiega anche il perché, quando ci si sente attaccati da una potenza disgregante come quella di un prete o di un carro funebre vuoto, ci si protegge toccandosi i testicoli, quale corrispettivo della validità fallica riconosciuta al corno e alle corna. È un gesto apotropaico cui ricorrono gli uomini; le donne, invece, usano strofinarsi il seno sinistro o darsi ripetutamente colpi sul sedere. Corna, fascinum, fallo sono simboli affini che si oppongono al male inteso nel senso più ampio del termine, come per esempio nelle culture rurali che include anche tempeste, siccità, epidemie e altri mali collettivi. Per questo motivo, svariati esempi di falli ornavano le porte o le mura esterne delle case, come emerge visitando il sito archeologico di Pompei (Napoli), o ammirando la facciata della chiesa della Ss.ma Annunziata di Sulmona (L’Aquila), i portali della basilica di San Cesidio a Trasacco (L’Aquila) e la parete esterna della chiesa della confraternita di Sant’Antonio Abate a Città di Castello (Perugia). Inoltre, fascinum si può intendere in due modi: o indica una stregoneria contro qualcuno/qualcosa o è un amuleto a forma di fallo contro il malocchio. Quest’ultimo è legato a un potere magico ascritto allo sguardo desideroso o invidioso del benessere altrui. Uno dei nomi più arcaici è invidia, che l’etimo latino (in, contro, video, guardare) suggerisce, appunto, guardare male/contro. Le credenze, i simboli e gli atteggiamenti nascono da molto lontano e spesso si ignora la genesi. Si utilizzano e basta, come si fa con il linguaggio, «perciò si può anche dire, con un paradosso, che se le superstizioni non esistessero, bisognerebbe inventarle per la loro utilità nelle crisi esistenziali». Ne è più che certo Alfonso M. di Nola!