In Colombia, è ufficialmente in vigore da domenica il cessate il fuoco definitivo tra il governo Santos e la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane. Le Farc hanno annunciato il loro congresso per il prossimo 13 settembre. Il 2 ottobre si svolgerà il referendum per ratificare o respingere gli accordi di pace. Ma la seconda guerriglia del paese, quella guevarista dell’Esercito di liberazione del popolo (Eln) non ci sta. Ufficialmente, sono in corso trattative in Venezuela. Ieri, però lo storico dirigente “Gabino” ha fatto gli auguri alle Farc, ma ha detto «di non condividere l’essenza degli accordi». Ne abbiamo discusso con José Vicente Murillo Tobo, portavoce regionale del Congreso de los Pueblos (il movimento considerato vicino all’Eln) e dirigente del Movimiento Politico de Masas Social y Popular del Centro Oriente de Colombia.

Cosa pensa degli Accordi dell’Avana?

Come Movimiento Político abbiamo sempre agito in funzione della pace, il nostro obiettivo è la costruzione di una pace con giustizia sociale, per realizzare le trasformazioni necessarie a superare la povertà, la miseria, l’esclusione, la disuguaglianza, i crimini contro l’umanità, contro la natura, la madre terra e che si renda vivibile la vita nel pianeta. In questo senso, e sapendo quali sono i costi della guerra, abbiamo sempre ritenuto necessaria una soluzione negoziata del conflitto armato: in cui non vi fossero vincitori né vinti, ma che si risolvessero i problemi per i quali c’è stata la lotta armata. Non si vede, però, una volontà del governo nel realizzare trasformazioni che garantiscano condizioni minime di vita degna, dubitiamo della volontà di farla finita con la violenza di Stato. Negli ultimi sei mesi, secondo cifre ufficiali che sempre sono inferiori a quelle reali, sono stati assassinati 35 fra leader sociali e difensori dei diritti umani, la cui attività era legata ai diritti collettivi e dell’ambiente e contro lo sviluppo dei megaprogetti. Lo Stato non ha intenzione di recedere davvero dalle politiche controinsurrezionali e dalla guerra sporca. Fin dall’inizio si sono presentati limiti nel negoziato, perché non sono state permesse discussioni sul modello economico e sulla struttura dello Stato, e c’è stata pochissima partecipazione della società alle discussioni, ai dibattiti e agli accordi. La giustizia transizionale favorirà persone che, mentre ricoprivano ruoli di stato hanno commesso crimini di guerra e di lesa umanità; non accoglie le autonomie e i governi dei popoli indigeni, anche se sono state prese decisioni che interessano i loro territori, protetti da una speciale giurisdizione internazionale. La Colombia è oggi un paese impegnato nello sviluppo delle politiche neoliberiste imposte dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario, ha sempre ha avuto governi funzionali a queste politiche neoliberiste ed estrattiviste. Questo vuol dire privatizzazione delle imprese strategiche, licenziamenti massicci, limitazione dei diritti lavorativi, aumento dell’inflazione. Lo sviluppo della guerra sporca come politica di contro-riforma agraria ha portato con sé oltre 6 milioni di ettari sottratti ai contadini, oltre 6 milioni di contadini espulsi, senza contare i 5 milioni e 600 mila colombiani che si trovano fuori del paese. La popolazione rurale del paese è passata dal 70 % al 30 %, con l’aumento di enormi fasce di miseria e povertà nelle città. La maggior parte dei territori rurali e urbani è data in concessione e progetti minerari-energetici (sfruttamento di carbone, oro, coltan, nichel, legno, petrolio). Circa 47 milioni di ettari sono in mano a 15.000 persone, il resto si suddivide in mini-latifondi. Dei 51 milioni di ettari dedicati all’agricoltura nel paese, 39 milioni sono appezzamenti improduttivi, e attira ancor più l’attenzione che il 28,5% di tutti gli alimenti che si consumano nelle famiglie è importato, ma l’altro 70% lo produce l’economia contadina nonostante tutte le difficoltà ben note di accesso alla terra, crediti, tecnologia, commercializzazione e investimenti. Se si parte dalla premessa del governo, che non si tocca il modello economico né la struttura dello Stato, questo significa che gli accordi dell’Avana miglioreranno in maniera minima la disuguaglianza e poco verrà fatto per portare a soluzione le condizioni di lavoro e salariali della classe lavoratrice. Senza dimenticare che è bassissimo l’indice di popolazione impiegata in modo regolare, mentre quello della popolazione impiegata in modo informale è molto alto, e così pure il numero di chi vive con entrate inferiori al salario minimo, senza contare che il governo colombiano ogni giorno approfondisce un po’ più la terziarizzazione.

Che succederà con il dialogo tra Eln e Santos?

Il 30 marzo del 2016 il governo colombiano e l’Eln) hanno ufficializzato l’inizio del dialogo. Il governo colombiano ha annunciato ai media che avrebbe congelato i negoziati fino a quando l’Eln non avesse liberato le persone che tiene in suo potere e l’Eln ha risposto che questo punto non era nei colloqui preliminari. Se non si risolvono queste contraddizioni difficilmente si può iniziare davvero un dialogo. Come Movimento politico di massa pensiamo che le vere trasformazioni per la pace saranno conquistate attraverso la mobilitazione e la resistenza popolare. Solo l’unità popolare sarà la garanzia necessaria per contrapporsi al governo e alle sue politiche imperialiste e neoliberiste, dobbiamo prepararci a costruire alterntive di potere.

Qual è il peso di Uribe e del paramilitarismo in Colombia e nella regione?

La storia colombiana è sempre stata segnata dal tentativo di far cadere il popolo nelle diatribe delle élite al potere, facendogli credere che esista lì un vero scontro e spingerlo a prender parte per interessi che non sono i suoi, ma quelli dell’oligarchia. L’uribismo difende gli stessi interessi delle forze che stanno al governo, la stessa classe sociale che, quando ne ha bisogno si serve degli stessi strumenti di guerra, compresa la guerra sporca e il paramilitarismo. Lo abbiamo visto nei confronti del Venezuela bolivariano: il governo di turno ha rappresentato la punta di lancia dei propositi imperialisti per provocare scarsità e crisi economica, non solo attraverso il paramilitarismo, ma anche con il contrabbando organizzato su grande scala alle frontiere. Bisogna riconoscere al popolo venezuelano e al suo governo democratico la grande capacità politica con cui ha affrontato i tentativi di destabilizzazione senza criminalizzare l’opposizione. A differenza di quanto è accaduto in Colombia, in Venezuela non ci sono stati morti, scomparsi e «falsi positivi». Ora, per i movimenti sociali colombiani si tratta di spingere per una riforma politica che dia piena garanzia di partecipazione al popolo e permetta una democrazia reale, che non si esaurisce nelle urne: tantomeno con una macchina istituzionale così corrotta e compromessa con l’oligarchia. Una elite mafiosa che è già pronta a lucrare, a spese del popolo, sul grande business del post-accordo.