Le immagini più drammaticamente evidenti con cui ormai quasi ogni giorno i media ci mostrano le conseguenze del riscaldamento globale, sono quelle dei ghiacciai: clamorosamente assottigliati o addirittura scomparsi, ridotti a sterili petraie. Poco o nulla tuttavia si dice sulle conseguenze prossime venture di questo fenomeno, che oggi appare molto più accelerato di quanto fosse stato previsto dai climatologi.

Vorrei perciò almeno accennare alle possibili conseguenze prossime che la sparizione dei grandi ghiacciai alpini provocherà, in tempi ancora imprevedibili, in alcuni territori della Penisola.

La loro estinzione più o meno totale avrà affetti giganteschi sulla Pianura padana. Nel XIX secolo Carlo Cattaneo aveva descritto in maniera mirabile le caratteristiche fisiche di quell’immenso catino ai piedi delle Alpi in cui precipita il più complesso sistema idrografico d’Europa e uno dei più ricchi e intricati del mondo.

I ghiacciai alpini, che hanno dato vita e ancora alimentano fiumi, canali, rogge, risorgive, ecc hanno costituito la risorsa idrica su cui è nata, soprattutto in Lombardia e nella Bassa padana, l’agricoltura irrigua. Per almeno un secolo la più prospera economia agricola del mondo. Grazie alla ricchezza delle acque, non solo sono state rese possibili colture tropicali: il riso arriva in Lombardia nel ‘400 e ancora ci rende primi produttori di questo cereale in Europa. Ma le acque hanno permesso navigazione interna, trasporti, energia motrice, con un abbondanza che non si ritrova in nessun altra geografia d’Italia.

Gran parte del dinamismo economico e della ricchezza di tanta parte dell’Italia settentrionale si deve all’abbondanza delle acque, dunque ai ghiacciai alpini, che la versano in pianura con corsi perenni e soprattutto d’estate, quando è più necessaria. La più grande e ricca città di quest’area, Milano, non sarebbe stata possibile senza questi vantaggi idrici. Scriveva nel 1288 Bonvesin De La Riva nel suo De Magnalibus Mediolani: «Non si ha notizia di alcuna altra città al mondo che sia altrettanto ricca di sorgenti di così elevata qualità» (1288)

Ebbene la sparizione dei ghiacciai prefigura la scomparsa di questi immensi vantaggi naturali di cui questa parte d’Italia ha goduto per millenni. Naturalmente non è saggio avventurarsi in previsioni più o meno catastrofiche.

Quel che invece si può utilmente fare, di fronte a un orizzonte così minaccioso e imprevedibile, è cominciare a pensare strategicamente a una eventualità che ormai possiamo considerare inevitabile, anche se con tempistiche e caratteristiche difficili da calcolare. E dunque si può cominciare a pensare a un’agricoltura necessitata a produrre con sempre meno acqua. Ecco allora emergere alcuni interrogativi su cui imprenditori e poteri pubblici devono cominciare a interrogarsi.

Difficilmente credo le colture del riso resisteranno allo stravolgimento idrografico e climatico in corso. E sarà ancora possibile, ed economicamente conveniente, coltivare in Pianura padana colture idrofile come il mais? Quel mais che la senatrice Cattaneo vorrebbe addirittura Ogm? Come fanno in genere gli scienziati riduzionisti, che esaltano il successo strumentale del singolo manufatto tecnico-scientifico – in questo caso il mais modificato – separandolo dal contesto generale della natura vivente, che comprende anche la variazione del clima e del regime idrico.

In un contesto di siccità, in assenza di grandi apporti d’acqua, quella cultura sarà fallimentare e, Ogm o meno, porterà gli agricoltori alla rovina. Occorre dunque incominciare a pensare a colture alternative, a piante capaci di adattarsi a un nuovo contesto climatico.

L’espansione delle colture tropicali in Sicilia e in Sardegna, che dalla scoperta dell’America in poi non erano mai attecchite nelle nostre campagne, è un segnale importante di questa inversione.

È questo un semplice esempio del modo di pensare prospettico con cui occorrerà accompagnare la protesta contro gli stati inquinanti e l’obiettivo di una riconversione ecologica generale.