Dallo scoppio dell’epidemia Covid19 la sofferenza più grave e profonda è quella che stanno vivendo gli invisibili, vale a dire quanti non hanno una capacità di “voice” che consenta loro di portare e far valere le proprie istanze presso le arene decisionali politico-economiche. L’assenza di rappresentanza è per Guy Standing una delle sette dimensioni che connotano i “precari”. Per il sociologo inglese, il precariato si definisce proprio a partire dalla mancanza di quelle garanzie che fondano una equa cittadinanza, dalla sicurezza del posto di lavoro e del reddito sociale fino all’identità professionale (Precari. La nuova classe esplosiva, Il Mulino, 2012). La sofferenza invisibile è, oggi, quella di cui dobbiamo preoccuparci con più urgenza. Anzitutto per ragioni di giustizia sociale ma anche per la tenuta democratica del paese.

È da più di tre settimane che al governo e alle forze di maggioranza è pervenuta la proposta elaborata dal Forum disuguaglianze e diversità e dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. Una proposta ben articolata, che contiene delle misure per garantire un reddito ai 6-7 milioni di lavoratori esclusi dal decreto “Cura Italia” e assicurare una più giusta tutela a lavoratrici e lavoratori autonomi. In particolare, il Reddito di cittadinanza per l’emergenza (Rem) interviene sulla situazione dei lavoratori a tempo determinato con contratto scaduto o degli irregolari, che non beneficiano di altri ammortizzatori sociali. Il Sostegno di emergenza per il lavoro autonomo (Sea), invece, propone un bonus per il lavoro autonomo commisurato alle effettive condizioni economiche del nucleo familiare. L’importanza della proposta, oltre i dettagli tecnici, è quella di portare le domande dei “senza voce”: sia perché imprigionati nelle pieghe dell’economia informale e del lavoro nero, sia perché lasciati in balia delle forze del mercato, poco attente ai bisogni delle persone.

Il tempo che sta impiegando il governo per intervenire nella direzione indicata dal Forum però è troppo lungo. I richiami del ministro Provenzano, fin da metà marzo, non sono stati raccolti. Gli esclusi dal decreto “Cura Italia” non hanno tempo e risorse per fronteggiare il momento attuale e tanto meno ne avranno nella fase post-emergenza. Lo sanno bene coloro che sono impegnati nelle organizzazioni di cittadinanza attiva, nei quartieri periferici delle grandi città del nord e del sud, che incontrano da vicino chi, in un battito d’ali, ha visto cambiare drasticamente il suo quotidiano.

Sono migliaia le persone che accedono ai beni fondamentali solo grazie all’impegno del mondo dell’associazionismo e del volontariato. Persone che la maggioranza di “noi” non vede, che erano lontane dal nostro sguardo anche prima del distanziamento sociale. È dalle organizzazioni di cittadinanza attiva che si leva l’appello a fare presto. L’usura, le mafie e la criminalità organizzata approfitteranno dell’acuirsi del disagio, elargendo benefici e promettendo protezione. L’industria della protezione privata, che vende a caro prezzo ciò che lo Stato dovrebbe invece garantire, si sta allargando. Interi strati sociali rischiano di finire in quella rete, impigliati in mondi paralleli e scambi occulti. Cosa succederà nei territori dove le mafie sono più forti, se non si interviene subito?

Analoga, pur nella sua diversità, è la condizione di fragilità del lavoro autonomo. La crisi sanitaria ha fatto emergere una zona grigia popolata da una eterogenea categoria di professionisti indipendenti, dall’editoria ai vari ambiti dell’industria culturale. Alcuni lavorano con contratti verbali, altri sono inquadrati con contratti che servono ai committenti per aggirare le rigidità del mercato del lavoro ma non riconoscono al lavoratore tutele e previdenza. I freelance sono così esposti a rischi di “corrosione” della capacità di aspirare, perdita di potere di negoziazione nei confronti della committenza e ulteriore riduzione di compensi. Per la più ampia categoria del lavoro autonomo, compresi artigiani e commercianti, il rischio è anche una crisi di liquidità. I risparmi sono sempre più esigui per chi da anni assiste a un calo dei guadagni e, al contempo, è forte il timore di trovarsi un’altra volta davanti a una stretta creditizia, così come è accaduto nel 2008.

A riguardo in alcune città del nord-est si stanno organizzando proteste da parte di piccoli imprenditori che nelle scorse settimane si sono visti negare prestiti, nonostante le garanzie statali al sistema bancario. Il loro malcontento è cavalcato dalla destra populista. Anche queste discriminazioni contribuirebbero a minare l’infrastruttura economica della cittadinanza sociale, creando cittadini dimezzati. In Italia la fiducia nello Stato è bassa e altrettanto scarsa è quella nella classe politica. La velocità e l’efficacia della risposta pubblica possono avviare una svolta. L’inazione, al contrario, può essere il canto del cigno di un rapporto logoro e sfilacciato, la cui rottura definitiva può aprire le porte alle peggiori pulsioni. Storicamente sul rancore, sulla rabbia e sul risentimento prolifera la domanda di autoritarismo. È tempo di agire, subito