Gli studi agiografici sono antichi: nascono infatti durante la controversia fra cattolici e protestanti, quando il culto dei santi e la storia della Chiesa erano argomenti fortemente divisivi. A Parigi fondavano la medievistica eruditi come Jean Mabillon e i suoi confratelli benedettini della congregazione di Saint-Maur, che dell’abbazia di Saint-Germain des-Près facevano centro attivissimo di ricerca e di edizione di documenti; mentre i loro concorrenti, i padri gesuiti belgi, passavano a revisione gli Atti dei santi: vite, miracoli, traslazioni, passioni.

L’IDEA DI RACCOGLIERE questi scritti, passandoli al vaglio della critica filologica, venne a un olandese, Heribert Rosweyde: la sua opera principale, del 1615, fu le Vitae Patrum, nucleo originario dei più celebri Acta Sanctorum, come vennero chiamati dopo l’intervento del suo continuatore Jean Bolland, prefetto degli studi nel collegio dei gesuiti di Mechelen. Sottovalutando la portata dell’impresa, Bolland inizialmente pensava di poter terminare il lavoro da solo, ma dopo qualche anno si rese conto che il lavoro andava oltre le sue forze individuali: nacquero così i «bollandisti» e con loro l’agiografia, da alcuni definita agiologia, ossia «studio della santità», per distinguere la critica storiografica dalla «scrittura delle vite», compito appunto degli agiografi.

LA MATERIA ha avuto nella storia degli studi una sua continuità; oggi gli Analecta bollandiana continuano la tradizione seicentesca. Tuttavia, nel generale rinnovamento della storiografia novecentesca, i testi agiografici hanno anche conosciuto una ripresa di interesse, non più volto soltanto agli aspetti filologici, né tantomeno a distinguere cosa ci sia di vero o di falso in tali memorie. L’agiografia è divenuta una branca della storiografia, in particolare della medievistica, e di queste fonti si è voluto cogliere il contributo che possono dare allo studio della storia delle mentalità; un’espressione forse oggi un po’ desueta, ma che a lungo, a partire dalla scuola francese delle Annales, ha dominato gli studi grazie a figure come Jacques Le Goff.

In Italia è stata soprattutto l’opera di Sofia Boesch Gajano a rispecchiare questi interessi e a «tradurli» per il pubblico e per generazioni di studiosi. Un’agiografia per la storia (Viella, pp. 322, euro 28) raccoglie molti dei suoi saggi sul tema; non è un caso che il libro sia dedicato proprio a Le Goff, e che nelle pagine introduttive Boesch Gajano spieghi la collaborazione e gli incontri, maturati soprattutto in Francia, che l’hanno condotta a interessarsi a questa materia.

I saggi raccolti si leggono come capitoli di un libro, tanti sono i rinvii tematici interni. Si spazia dalle forme di santità alle reliquie ai miracoli, con una particolare attenzione ai secoli alti e a quelli centrali del Medioevo, anche se lo scritto che chiude il libro, «Esemplarità e santità», giunge fino alla contemporaneità. Il lavoro di Sofia Boesch Gajano ha aperto la strada a un filone di studi che nel nostro paese resta vivo, come testimoniano due uscite recenti di studiosi più giovani.

Marco Papasidero, Translatio sanctitatis. I furti di reliquie nell’Italia medievale (Firenze University Press, pp. 200, euro 15), affronta il tema delle traslazioni e dei furti di reliquie, un capitolo importante dell’agiografia, ma anche della vita medievali. Oltre quello celebre del corpo di san Nicola di Mira, conteso fra Veneziani e Baresi, ve ne sono tanti maggiori e minori che attestano la forza della reliquia che sacralizza, protegge e dà onore alla comunità che la possiede. Il libro, premiato dall’Istituto Sangalli per la storia religiosa, prende in considerazione fonti finora poco conosciute per un’analisi che viaggia fra storia e analisi dei modelli letterari.

Con Daniele Solvi, Il Mondo Nuovo. L’agiografia dei Minori Osservanti (Cisam, pp. 302, euro 34) si compie un salto cronologico in avanti: il movimento delle Osservanze giunge alla fine del Medioevo a rinnovare la predicazione e il rapporto con i laici; di conseguenza anche le Vite dei santi osservanti, Bernardino da Siena in testa, testimoniano di una religiosità mutata rispetto al passato, intessuta di umanesimo, che si lascia alle spalle la tradizione apocalittica Due-Trecentesca.

TUTTO NUOVO, dunque, anche perché nel frattempo l’invenzione dei processi di canonizzazione (come mostrato dagli studi di André Vauchez) ha dato vita a rinnovati modelli di santità, nonché alla loro narrazione. Allo stesso tempo, però, l’involucro agiografico si adatta ma certo non scompare, segno di quell’intreccio fra continuità e discontinuità di cui è intessuta la storia.