Crisi, assalti e bombe. La Libia del post-Gheddafi è ben lontana dal ritrovare una parvenza d’equilibrio. Ieri, a Tripoli, due persone sono rimaste uccise a causa di scontri e bombe. Gli abitanti hanno sentito forti esplosioni vicino alla caserma di Yarmuk, nel quartiere di Salaheddine. Intensi combattimenti con l’impiego di batterie antiaeree si sono verificati vicino a un campo militare nei pressi di Tajura, nell’est della capitale. Secondo quanto ha dichiarato all’agenzia Fides Innocenzo Martinelli, Vicario apostolico di Tripoli, una bomba avrebbe «colpito anche gli uffici della Nato, contigui a quelli dell’Unione europea». E un contrammiraglio della marina libica, il generale Hassan Abou Chanak è sfuggito a un attentato, uomini armati lo hanno aggredito mentre si recava al lavoro. Un autista e due guardie del corpo sono rimaste ferite.

Ieri la Commissione elettorale libica ha fissato per il 25 giugno l’elezione di un nuovo parlamento che sostituisca il Congresso generale nazionale (Cgn). Messo in piedi dopo la caduta di Muammar Gheddafi (ucciso a Sirte il 20 ottobre del 2011), il Cgn è considerato una delle principali cause delle tensioni che scuotono il paese: paralizzato dalle divisioni interne tra gli islamisti e i liberali. Ieri, la presidenza del Cgn ha convocato una riunione, iniziata con molto ritardo per mancanza del quorum. Poi, un razzo è esploso vicino al lussuoso hotel della capitale in cui si riuniva il Congresso, senza comunque fare vittime. Domenica, un attacco ad opera delle potenti milizie della regione di Zenten, che chiedono la dissoluzione del parlamento, ne hanno distrutto la sede. Il Congresso, contestato per aver deciso di prolungare fino a dicembre del 2014 il suo mandato scaduto a febbraio, non ha reagito a una iniziativa del governo che, per uscire dalla crisi ha proposto di «mettere a riposo il Cgn». Un’iniziativa appoggiata comunque da 36 deputati. Ieri, il Congresso ha anche rinviato il voto di fiducia al governo perché il Primo ministro libico Ahnad Miitig ha detto di aver bisogno di tempo per presentare un governo di unità nazionale.

Ma intanto, c’è chi pensa di dare un’altra svolta alla crisi e prova a proporsi come alternativa: il generale in congedo Khalifa Haftar, l’ex fedelissimo del Colonnello poi usato dalla Cia e costruito come alternativa a Gheddafi. A capo di una forza militare denominata «esercito nazionale libico», il settantunenne Haftar ha lanciato l’offensiva contro le milizie jihadiste Ansar al-Sharia, ritenute responsabili degli omicidi che hanno colpito in due anni magistrati e forze di sicurezza. Si è anche scontrato con gli effettivi della brigata 17 febbraio, creata durante la rivolta contro Gheddafi. Gli scontri di Bengasi, esplosi dopo l’operazione militare battezzata da Haftar «Dignità», hanno causato almeno 79 morti e 140 feriti. Haftar sta raccogliendo i consensi di ampi settori militari e ha dalla sua le milizie di Zenten, roccaforte della ribellione anti-Gheddafi. I jihadisti gli hanno dichiarato guerra e per i Fratelli musulmani libici è «un fuorilegge». Gli Usa hanno apparentemente preso le distanze dalla loro creatura, ma intanto hanno inviato rinforzi alla base di Sigonella e a quella di Moron, in Spagna.

E la Corte penale internazionale ha rigettato in appello la domanda della Libia che vuole processare Seif al-Islam, figlio di Gheddafi, detenuto da ex ribelli a Zenten.