Il vero pericolo per la pace in America latina e nei Caraibi viene dalle «aggressioni economiche» e dalla politica di «sovversione» dei governi legittimamente eletti – in Venezuela, Nicaragua e Cuba soprattutto – da parte di Washington e dei suoi pù stretti alleati nel subcontinente. È in sostanza l’allarme lanciato dal presidente cubano Miguel Díaz-Canel al XVI vertice dell’Alleanza bolivariana per i popoli dell’America (Alba) riunitosi all’Avana lo scorso fine settimana. «Non possiamo essere ingenui e accettare le aggressioni golpiste» ha concluso.

IL PRESIDENTE VENEZUELANO Nicolás Maduro ha individuato il problema della crescita economica come il più urgente. Di fatto, una sorta di tallone d’Achille del «socialismo latinoamericano» di fronte alla crescente aggressività della Casa bianca. Come ricetta ha proposto di incrementare l’integrazione economica dei paesi dell’Alba (oltre a Cuba, Venezuela, Bolivia e Nicaragua ne fanno parte Antigua e Barbuda, Dominica, Santa Lucía, San Vicente e le Granadine, Granada e San Cristóbal) come «base della loro indipendenza». Allo scopo ha lanciato la proposta di usare il Petro – la criptomoneta venezuelana garantita dalle enormi riserve di greggio del paese – come strumento per tentare di contenere la nefasta egemonia del dollaro.

L’America latina – dice Maduro – è «una zona soggetta a una dura disputa» e , dopo che «la controffensiva imperialista ha segnato alcuni successi (riferimento alla vittoria delle destre quest’anno in Colombia, Brasile, Cile e Paraguay, ndr) – è in corso un’offensiva contro i governi progressisti». Lo stesso Maduro ha denunciato la settimana scorsa un «nuovo piano imperialista» per abbattere il suo governo: più di 700 paramilitari si starebbero addestrando in Colombia in una zona prossima al confine col Venezuela per iniziare operazioni armate di destabilizzazione in terrirorio venezuelano. Contemporaneamente vi è una concentrazione di forze brasiliane al confine sud del paese.

L’AMMINISTRAZIONE TRUMP è impegnata anche in una escalation di attacchi contro il governo cubano. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha alzato la voce sul tema ricorrente dei diritti umani pretendendo la «liberazione» di nove detenuti definiti «politici». Mentre è tornato alla ribalta l’affaire dei cosidetti «attacchi acustici» che sarebbero stati diretti l’anno scorso contro una ventina di persone dell’Ambasciata degli Usa all’Avana. Tali accuse erano state valutate come «infondate» da parte di vari specialisti – medici e fisici – internazionali. Ma uno studio dell’Università di Miami ha rilevato che i diplomatici avrebbero avuto tutti un danno all’orecchio interno giusto in tempo perché Trump, all’inizio del mese, congelasse definitivamente l’attività consolare dell’Ambasciata dell’Avana.

QUESTA FIAMMATA di aggressività nei confronti di due paesi progressisti chiave per la regione dei Caraibi è ,secondo l’analista Esteban Morales, «una reazione al successo della penetrazione economica e commerciale della Cina in America centrale». Attualmente Pechino è il secondo o terzo socio commerciale della regione. Imprese cinesi realizzano opere di infrastruttura in Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panama e si stanno concretizzando piani di investimenti in Salvador e Guatemala. Progetti da due miliardi di dollari, cui va aggiunto quello del canale intraoceanico in Nicaragua (dal futuro incerto) che prevede un investimento di 50 miliardi di dollari. Il gigante asiatico ha firmato un Trattato di libero commercio con il Costa Rica e sta chiudendo i negoziati per un analogo Trattato con Panama.

MA È PROPRIO LA PENETRAZIONE CINESE a Panama – considerato dagli Usa un retroterra strategico – che preoccupa l’Amministrazione Trump. Per la Cina Panama fa parte della «Nuova rotta della seta». E per il presidente Juan Carlos Varela e per una serie di «famiglie» che di fatto controllano l’economia del paese la Cina sembra rappresentare l’opzione più conveniente. Il segretario di Stato Pompeo ha definito «un saccheggio» le attività «non trasparenti» dei giganti cinesi che operano nella regione.

Non si tratta solo di una penetrazione economico-commerciale vincente, sostiene l’analista messicano Víctor Umaña: «La Cina sta dicendo chiaro che è presente nella zona di scambio tra gli oceani Pacifico e Atlantico, che era considerata di totale esclusività statunitense».