Occupano terre di un altro popolo e hanno dato vita ad un avamposto coloniale, Givat Ronen, che è illegale persino per la legge israeliana oltre che per quella internazionale. Eppure, fanno ciò che vogliono perché sentono di godere di immunità e protezioni ai vertici della politica. Ieri i «giovani delle colline», come li chiama qualcuno, da Givat Ronen hanno lanciato una pesante aggressione a danno di contadini palestinesi e di attivisti israeliani di sinistra nelle campagne del villaggio di Burin. Con il volto coperto a decine sono scesi dal loro avamposto con mazze e pietre e hanno colpito con estrema violenza chiunque si trovassero davanti. Un pestaggio in piena regola – come mostrano i video che circolano nei social – che ha ferito in modo serio almeno sei persone, tra cui due in età avanzata. Alcuni sono stati colpiti alla testa. Più alto il bilancio della Mezzaluna rossa che riferisce di aver prestato soccorso ad 88 persone, in buona parte palestinesi. Non contenti, i coloni hanno cosparso un’automobile di benzina e le hanno dato fuoco. I soldati israeliani sono arrivati ad aggressione ormai terminata. Gli aggressori erano già scomparsi.

In parte affiliati alla ong Rabbis for Human Rights, gli attivisti erano arrivati ​​a Burin per aiutare gli agricoltori palestinesi a piantare alberi d’olivo. Poco dopo, dozzine di figure mascherate sono scese da Givat Ronen urlando minacce. «Hanno scagliato pietre e ci hanno colpito con bastonate. Poi hanno versato benzina su una delle auto e l’hanno data alle fiamme», ci ha raccontato Yuval, un attivista che da anni va regolarmente nella Cisgiordania occupata a sostegno dei contadini palestinesi minacciati dai coloni. La polizia assicura che saranno individuati e arrestati ma ieri sera palestinesi e attivisti ricordavano che poche volte gli attacchi di estremisti di destra e coloni in Cisgiordania sono stati indagati con serietà. Yesha Council, l’organizzazione ombrello degli insediamenti coloniali israeliani, in un comunicato si è detta «scioccata dalle immagini di questo insolito attacco». Insolito non lo è affatto. Lo scorso anno si è registrata una impennata di attacchi dei coloni: circa 500 secondo i dati di Peace Now che riferisce di 12 aggressioni violente nei primi 20 giorni di quest’anno. Lo stesso servizio di sicurezza israeliano Shin Bet riporta un aumento del 50% nel 2021.

Che Yesha parli di attacchi «isolati» è scontato. Più significativa è piuttosto la protezione che una fetta importante del mondo politico israeliano garantisce ai coloni. Per lo stesso premier Naftali Bennett, noto fautore della colonizzazione di Cisgiordania e Gerusalemme Est, le violenze dei coloni sarebbero «insignificanti». «I coloni ebrei – affermò lo scorso dicembre – hanno sofferto di violenza e terrorismo, ogni giorno, per decenni. Dobbiamo rafforzarli e sostenerli, con parole e azioni». All’inizio di gennaio il viceministro Yair Golan (Meretz) aveva descritto come «subumani» gli estremisti che vivono negli avamposti coloniali finendo sotto un diluvio di accuse. Ieri ha twittato sarcasticamente: «Va bene, non sono subumani. Come volete chiamarli allora?».

 

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A Gerusalemme Est altri coloni nei giorni scorsi hanno recintato senza autorizzazione un terreno davanti alla casa della famiglia palestinese Salem, quella considerata più a rischio di sgombero tra le 28 del quartiere di Sheikh Jarrah che vivono con l’ansia di perdere la casa dove vivono dagli anni 50 perché costruite su terreni reclamati da presunti «proprietari» legati all’estrema destra. Due giorni fa sempre a Sheikh Jarrah il municipio ha raso al suolo l’abitazione della famiglia palestinese Salhiye. E ieri mattina il vicesindaco Arye King ha effettuato un «sopralluogo» in vista della demolizione della casa dei Salem innescando proteste immediate.