Si è tenuta il 26 luglio alla camera dei deputati, in modalità pandemia, la relazione annuale dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, introdotta da un felice e non rituale saluto a nome dell’assemblea ospitante della vice di Roberto Fico Maria Edera Spadoni.

Si tratta del primo atto, visto che il presidente Lasorella e il consiglio si insediarono il 2 ottobre del 2020.

Trentacinque minuti di sintesi di un universo in veloce passaggio di millennio (l’evocata infosfera, termine coniato da Luciano Floridi), in cui c’è molto da ridefinire, riscrivere, rileggere: reinventare.

In verità, sotto la prosa colta e forbita del presidente esposta in diretta su Rai uno, si cela una rude verità. Di gran parte dei fenomeni evocati l’istituzione italiana è stata una pur privilegiata osservatrice, più che una protagonista attiva.

Ciò non toglie nulla ai risultati conseguiti: dal divieto della rivendita illegale dei biglietti per gli eventi, a quello della pubblicità relativa a giochi e scommesse; all’atto di indirizzo sui diritti televisivi del calcio; all’indagine conoscitiva relativa ai servizi offerti sulle piattaforme online; alla rivisitazione delle tabelle esplicative dei tempi di parola e di antenna dei soggetti politici; alla positiva delibera n.220/21 sul pluralismo in vista delle elezioni amministrative dell’autunno in un clima surreale in cui la par condicio sembra morta. E, certamente, anche altro: MisuraInternet, ConciliaWeb, titoli ma non ancora realizzazioni.

Tuttavia, i percorsi tecnologici in atto sono descritti con spirito cronachistico ed esplorativo, come se l’Agcom , cui sono stati attribuiti ulteriori poteri con il c.d. decreto rilancio dell’anno passato, non dovesse intervenire con forza e decisione.

Sembra l’aggiornamento – mutatis mutandis – del motto di Debord: non la politica, ma la comunicazione diviene spettacolo.

Eppure, proprio la premessa della relazione fornisce in una sintesi efficace la drammaticità del contesto, in cui si assiste alla datizzazione dei sistemi, vale a dire l’uso massivo e capillare di algoritmi privi di trasparenza e resi ormai insidiosissimi con l’avvento dell’intelligenza artificiale.

Nessun cenno al caso clamoroso dello strumento di sorveglianza inalato nei telefoni e nei computer chiamato Pegasus, punta di un iceberg di qualcosa di oscuro e abnorme che incombe. Il capitalismo delle piattaforme è sì evocato, ma nella versione riduttiva della regolamentazione, come se fosse una semplice questione giuridica. E non un paradigma inedito, che richiede un salto culturale.

Lasorella passa in rassegna il pacchetto di consultazioni pubbliche varato da Bruxelles un’estate fa, da cui sono scaturite le proposte Digital Services Act e Digital Markets Act, nonché il progetto sull’intelligenza artificiale.

In Europa si sta assistendo ad un’inversione di rotta, attribuendo finalmente responsabilità dirette ai gestori delle piattaforme, finora considerati veicoli di contenuti altrui. I consumatori, a partire dai portatori di disabilità, vanno tutelati, si sottolinea.

Ma i dati che riguardano le identità non sono degli Over The Top, bensì delle persone in carne e ossa.

Di questo ci si poteva legittimamente attendere che il rapporto annuale dell’autorità parlasse in modo compiuto, secondo lo spirito della legge istitutiva del 1997 (n.249), che non per caso immaginò un’entità multimediale (il linguaggio dell’epoca) dotata di vaste funzioni di alta amministrazione e di normazione regolamentare, oltre che di magistratura. Si prevedeva, proprio per affermare un’autonoma e originale funzione, la facoltà di segnalazione al parlamento delle necessità e dei vuoti legislativi.

Al riguardo, purtroppo, è avvenuto esattamente il contrario, quando ci si limitò – ad esempio- a prendere atto di uno sciagurato emendamento pro Mediaset.

E ora, a fronte del recepimento della direttiva sui nuovi servizi media (SMAV), su cui si è aperta la consultazione da parte del ministero dello sviluppo, sarebbe opportuna un’indicazione di merito volta a disegnare i principi di una vera riforma.

La relazione spazia. Si parla del settore postale, sempre più importante perché connesso alle infrastrutture logistiche, in cui si gioca una partita sociale delicatissima.

L’industria italiana dei media, malgrado gli incrementi del consumo nel periodo pandemico, è in crisi. Con l’eccezione delle offerte on demand. A soffocare è in particolare l’editoria, dove la parabola discendente delle vendite e dei ricavi procede inesorabile.

La stessa componente ricca – le telecomunicazioni- non ride, se è vero che la copertura dell’Italia con la banda ultralarga va un po’ meglio, ma stenta a superare un terzo della popolazione, con forte disagio del sud. A parte la solita retorica sulle virtù salvifiche (?) del 5G.