Domani sarà una domenica decisiva per Adalah. Gli avvocati di questa ong impegnata nella tutela legale della minoranza araba (palestinese) in Israele, spiegheranno ai giudici i motivi della denuncia che hanno presentato contro l’amministrazione comunale di Afula, città ebraica della Galilea che dal 26 giugno vieta ai non residenti di entrare nel parco pubblico della città. Ed è superfluo precisare che i “non residenti” sono i palestinesi che vivono nei villaggi arabi vicini. La presenza dei non residenti, spiegano il sindaco Avi Elkabetz e il suo entourage, limita il «pieno godimento» del bene pubblico da parte dei cittadini di Afula che contribuiscono alla cura del parco attraverso le tasse comunali. Da qui la «necessità» di porre delle restrizioni.
Una giustificazione che non convince nessuno e i palestinesi che vivono nella zona ripetono che si tratta semplicemente di «razzismo». Il divieto, sottolineano, è stato emanato in seguito a una esplicita promessa elettorale fatta dal sindaco di agire contro la «conquista del parco da parte degli arabi». Elkabetz inoltre ha invitato i cittadini ebrei ad «issare con orgoglio bandiere israeliane in tutto il parco». Ad oggi non si hanno notizie di ebrei non residenti ai quali sia stato negato l’ingresso nel parco.

A inizio luglio una rappresentante di Adalah, Nareman Shehadeh-Zoabi, è andata a verificare di persona quanto accade. All’ingresso del parco ha trovato un grande cartello con la scritta: “Aperto solo agli abitanti di Afula”. E quando ha provato, assieme al suo bambino, ad entrare è intervenuta una guardia di sicurezza che ha chiesto i documenti di riconoscimento. L’uomo ha bloccato il passo di Shehadeh-Zoabi dopo aver verificato che risiede a Nazareth, la più grande delle città arabe in Israele. «Mi sono sentita profondamente umiliata» ha raccontato la donna «mentre rispondevo alle domande (della guardia di sicurezza) i residenti ebrei di Afula avevano libero accesso al parco. Io non potevo farlo solo perché vivo nell’araba Nazareth».

Ad Afula negano che il provvedimento abbia un contenuto razzista. Ma il sindaco Elkabetz qualche giorno prima dell’approvazione del divieto aveva preso parte a una protesta di centinaia di abitanti contro la vendita di case a famiglie palestinesi. Ed il consiglio comunale eletto lo scorso ottobre si è impegnato a «preservare il carattere ebraico della città». L’Avvocato dello Stato Avichai Mandelblit si è espresso per una sospensione immediata del divieto deciso da Elkabetz. Ma non basta a far sparire la discriminazione che deve affrontare la comunità palestinese in Israele, circa 1 milione ed 800mila persone, il 20% della popolazione.

Afula non è un caso isolato. Nel marzo 2018, la cittadina di Kfar Vradim ha sospeso la vendita di terreni edificabili poiché oltre il 50% delle famiglie che li avevano acquistati erano palestinesi. Altre decine di piccole comunità hanno istituito “commissioni di ammissione” incaricate di autorizzare l’acquisizione di abitazioni sulla base di criteri di «idoneità sociale». In sostanza devono tenere fuori gli arabi. Il motivo principale per il quale i palestinesi in Israele – coloro che possono permetterselo e sono una piccola minoranza – cercano di comprare casa nelle comunità ebraiche è che i loro centri abitati nella maggior parte dei casi non hanno servizi adeguati e, più di tutto, dove espandersi ed edificare a causa delle confische di terre arabe attuate massicciamente dallo Stato di Israele dopo il 1948.

Per Adalah il quadro è chiaro. «Le pratiche discriminatorie come quella ad Afula – scrive l’ong in un comunicato – sono il riflesso diretto dalla legge fondamentale approvata un anno fa dalla Knesset che descrive Israele come lo Stato della nazione ebraica e che all’articolo 7 promuove l’insediamento ebraico come un valore nazionale offrendo sostegno costituzionale a decenni di discriminazioni nelle politiche abitative». Limitare l’ingresso al parco pubblico di Afula, aggiunge l’ong «è il sintomo di una inquietante tendenza alla segregazione fisica». Il giornalista Meron Rapaport ha scritto sul portale d’informazione Middle East Eye che «Il razzismo in Israele è sempre esistito e non esclusivamente verso gli arabi. Ma quando il razzismo diventa accettabile nella sfera pubblica ed è percepito come un mezzo efficace per ottenere voti in campagna elettorale, allora si arriva ad un punto molto pericoloso. E questo è esattamente dove attualmente si trova Israele».