In un’intervista al The Telegraph il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu non ha mostrato alcun segno di flessibilità. Ha ribadito che Ankara continuerà ad usare il pugno duro contro i curdi ad Afrin e ha descritto l’invasione del nord della Siria come un esempio della politica turca di «stabilizzazione» del Medio Oriente che farebbe gli interessi anche dell’Europa. Cavosoglu può provare ad ingannare la comunità internazionale e le forze armate turche comunicare di avere «neutralizzato 2.952 terroristi», ma l’offensiva “Ramo d’Ulivo” si sta trasformando in un piccolo Vietnam turco. Altri otto militari turchi sono rimasti uccisi e 13 feriti. Finora, confermano i comandi militari, sono già 41 i soldati morti in combattimento, nonostante la copertura offerta dall’aviazione.

Ankara però va avanti e comunica di aver avviato la “fase 2” dell’offensiva che si concentra nei dintorni e all’interno del villaggio di Raju. Due giorni fa elicotteri turchi hanno bombardato due postazioni delle Forze di Difesa Nazionale, la milizia filo-governativa siriana giunta ad Afrin in appoggio alle formazioni curde, facendo almeno 17 morti. Ieri l’artiglieria di Ankara ha ucciso un altro civile a Yakhour. Un convoglio della Croce Rossa, giunto ieri ad Afrin con aiuti umanitari destinati a 50 mila sfollati, ha registrato la gravità della situazione nelle aree lungo il confine con migliaia di civili che vivono in condizioni disastrose.

Intanto resta drammatica la situazione nella Ghouta orientale al centro dal 18 febbraio dei combattimenti tra l’esercito governativo e le formazioni jihadiste e qaediste che occupano quell’area a ridosso di Damasco. Si parla di un numero variabile, tra 613 e 666, di civili rimasti uccisi sino ad oggi, tra i quali 147 bambini. Tuttavia questi dati sono forniti non da fonti indipendenti ma da organizzazioni dell’opposizione siriana. La tregua di 30 giorni, votata dall’Onu, non è rispettata. E non è servita a molto la pausa umanitaria di cinque ore al giorno decisa dal presidente russo Vladimir Putin per consentire l’ingresso degli aiuti umanitari nell’area e l’evacuazione dei civili. Sino ad oggi solo una coppia di cittadini pakistani e due bambini hanno attraversato il corridoio umanitario istituito presso la località di Wafidine per colpa, denuncia la Russia, delle formazioni jihadiste che impediscono alla popolazione di lasciare la zona dei combattimenti.