A tre giorni dall’inizio del conflitto, oltre 100 persone che hanno protestato contro la campagna militare ad Afrin sono state arrestate o fatte oggetto di indagini. A braccetto con la guerra si accompagna la repressione delle voci fuori dal coro, dissonanti con gli scoppi delle bombe.

La procura di Ankara ha avviato un’indagine a carico dei parlamentari Hdp Ayhan Bilgen e Nadir Yildirim, mentre il parlamentare Mehmet Polat e il rappresentante provinciale Fatos Ay sono stati arrestati a Mugla. Sono tutti accusati di propaganda terroristica e incitamento all’odio.

La Procura di Istanbul occidentale ha spiccato 18 mandati d’arresto, mentre quella di Istanbul orientale ha avviato indagini contro 57 persone a causa dei post pubblicati sui social media. 11 persone sono state arrestate e due rilasciate con obbligo di firma nel quartiere di Kadikoy ad Istanbul, dopo che erano scese in strada per protestare. Nella cittadina di Emet, a Kuthaya, un pediatra è stato arrestato dalle squadre dell’antiterrorismo in seguito ad alcuni post e accusato di propaganda per un’organizzazione terroristica.

Nel villaggio di Gulbaba, vicino al confine siriano, una squadra della Cnn Turchia è stata aggredita e costretta alla fuga da un individuo, accusata di aver riportato la notizia della fuga degli abitanti dei villaggi di Afrin a causa dei bombardamenti turchi. «Siete traditori della patria, vi uccido» ha gridato l’uomo, ripreso dalle telecamere in un video fatto poi circolare su internet. Non risultano indagini aperte.

Sono solo alcuni esempi della repressione da quando il 21 gennaio scorso gli editori dei principali media del paese sono stati convocati dal primo ministro Yildirim e istruiti su come riportare «patriotticamente» le notizie di guerra. Le raccomandazioni rivolte alla stampa includono il tenere in considerazione l’interesse nazionale, sottolineare lo sforzo dell’esercito nella salvaguardia dei civili, non dare risalto alla parola di organizzazioni che sostengono il nemico, non riportare proteste contro la guerra, tratteggiare il conflitto come una lotta al terrorismo, diffidare dei report internazionali di media occidentali, non citare chi definisce la Turchia un invasore, affidarsi al governo come fonte primaria, sottolineare come le armi utilizzate siano di produzione nazionale.

«Le direttive mirano a fare dei media turchi il megafono del governo e dei suoi obiettivi bellici» ha denunciato Reporter senza Frontiere.

Conseguenze si sono viste anche all’estero. La sede quotidiano Afrika a Cipro è stata distrutta da una folla dopo che il giornale aveva accusato la Turchia di essere una forza d’invasione. Soltanto il giorno prima Erdogan aveva definito il giornale «immorale» e affermato che «i turchi ciprioti daranno risposta».