Cyril Ramaphosa è il nuovo leader dell’African national congress. Ovvero, a meno di clamorosi tracolli di consensi o scissioni suicide del partito che governa il Sudafrica da 23 anni, il prossimo presidente del Paese. Nell’infuocata Conferenza nazionale in corso da sabato a Johannesburg ha prevalso infine sull’altra candidata forte rimasta in corsa fino all’ultimo per la presidenza del partito, l’ex pluriministra ed ex molte altre cose Nkosazana Dlamini-Zuma. Un segnale di presunta discontinuità rispetto alla linea politica e in un certo senso dinastica del presidente uscente, Jacob Zuma, che può comunque restare alla guida del paese fino alla fine del suo secondo mandato e alle elezioni del 2019.

Estenuante e chiassosa, continuamente spezzata da cori a sostegno dei due candidati, la trattativa per decidere chi avesse diritto al voto e chi no tra gli oltre 5 mila delegati presenti al Nasrec Centre ha portato a un ritardo di oltre 24 ore sul programma. Al termine di un’altra giornata tumultuosa e dopo l’ennesimo riconteggio, Il verdetto emesso nella serata di ieri conferma la vittoria di misura, 2440 a 2261, dell’attuale vice presidente sudafricano. La rimonta della sua avversaria c’è stata –  qualcuno già parlava di “sporchi trucchi” – ma non è stata tale da fermare la corsa di Ramaphosa. A sostegno del quale un fronte composito – ben oltre i settori del partito usciti stremati dal decennio di scandali, emorragia di consensi e arrroganza coinciso con Zuma – che mette insieme i poteri forti dell’economia sudafricana e i due alleati di governo dell’Anc, il sindacato Cosatu e il Partito comunista.

C’è più di qualche risonanza con la biografia dell’ex sindacalista divenuto miliardario, il co-fondatore del potente Sindacato nazionale dei minatori (Nunion of Mineworkers NUM), uno dei più strenui e lucidi negoziatori nelle trattative con il National party che portarono alle prime elezioni libere del 1994. Cyril Ramaphosa fu persino ipotetico delfino del presidente Mandela e segretario generale dell’Anc dal 1991 al 1997, ma visto che nei ranghi del partito aveva perso peso usò il tempo libero e presumibilmente le conoscenze che gli rimanevano per diventare uno dei 15 uomini più ricchi del Sudafrica, con interessi particolari nel settore che per il suo vecchio mestiere conosceva meglio, quello minerario.

Nella lista dei nababbi nazionali certificata da Forbes, implacabile fotografia in bianco e nero dell’aspirante stato arcobaleno, i neri sono solo due e l’altro è il cognato di Ramaphosa, Patrice Motsepe, il cui impero economico, dicono gli analisti che amano portarsi avanti con il lavoro, è destinato a diventare per il nuovo leader quello che la famiglia turbo-capitalista dei Gupta ha rappresentato per il vecchio, una fortuna personale e una rovina politica – che incide sulla vita di milioni di persone.

Fatto sta che per questo e altro Zuma ha i suoi guai giudiziari, Ramaphosa no. Ma se c’è una cosa su cui convergono, è l’irritazione per l’automatismo secondo cui se un politico nero è ricco per forza di cose deve essere anche corrotto. Altrettanta irritazione meriterebbe il fatto che l’emergere di una ristrettissima élite nera sembra essere l’unica novità sostanziale prodotta dal sistema di potere dell’Anc.

Si tratterà ora di capire dove porterà lo scontro in atto tra le due componenti del partito, che un risultato così sul filo è destinato a esacerbare. Nkosazana Dlamini-Zuma  al pari del suo avversario ha servito l’Anc durante la lotta di liberazione nazionale prima e la costruzione del Sudafrica post-apartheid poi, accumulando meriti e discrediti in egual misura. Ministra della Salute nel governo Mandela, agli Esteri con Thabo Mbeki, agli Interni con Zuma e da qui alla carica – prima donna a ricoprirla – di presidente della Commissione dell’Unione africana. Non mostrò particolari imbarazzi nel passare dall’orbita politica di Thabo Mbeki a quella di Zuma – con il quale è stata sposata fino al 1998 e dal quale ha avuto quattro figli – , due personalità e due visioni del partito agli antipodi. La sua candidatura aveva come elemento nuovo la centralità della questione femminile, ma l’appoggio del poligamo Zuma divenuto improvvisamente femminista non deve averla aiutata molto.

Il vincitore Ramaphosa metle sue prorità la lotta alla corruzione e la stabilizzazione dell’economia. Le borse, che non dubitano della sua fede liberista-estrattivista, rispondono. Ma gli studenti delle township che lottano per l’istruzione gratuita promessa ai loro padri e i lavoratori che accusano Ramaphosa di complicità nella strage di Marikana vogliono molto di più.