Africa: oltre 1,2 miliardi di abitanti e 30mila morti totali riferiti alla Covid-19, secondo il dashboard dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Diversi paesi africani registrano poche decine di morti.

Anche al netto di sottostime, nulla di quell’apocalisse annunciata per mesi in primavera dagli esperti internazionali, di fronte a un continente con fragili sistemi sanitari, precarie/sovraffollate situazioni abitative e lavorative, carenza di acqua.

Tuttavia, le misure dispiegate per far fronte alla pandemia hanno determinato pesanti effetti sulla salute stessa degli africani, e non solo sulla loro situazione economica, pesantemente colpita da mesi di lockdown più o meno rigido.

Lo ha spiegato Matshidiso Moeti, direttrice dell’Oms per l’Africa, nel corso di una conferenza stampa online. Il focus dei sistemi sanitari sulla pandemia, le difficoltà negli spostamenti e le minori disponibilità finanziarie familiari e pubbliche hanno ridotto i servizi di salute essenziali.

La mortalità aggiuntiva potrà essere valutata solo con il tempo, hanno spiegato gli esperti. Ma si sono ridotte le attenzioni per la salute materno infantile, in una realtà dove, pre-Covid, la mortalità neonatale era di 28 per mille nati e ogni anno di parto morivano 200mila mamme.

Sono state ritardate – poi riprese con la fine dei lockdown – vaccinazioni essenziali (polio e morbillo) per milioni di bambini. Preoccupazione per un aumento delle morti per malaria, visto che si sono ridotte le azioni di prevenzione.

Un altro grande problema è stata l’interruzione delle terapie per malati di cancro e Aids durante il lockdown, ha sottolineato Regina Kamoga, presidente dell’Alleanza delle organizzazioni dei pazienti in Uganda.

Messaggi chiave per il dopo: «La salute primaria deve ricevere il massimo della priorità nei bilanci pubblici» ed è essenziale «ascoltare le comunità, che si sono impegnate molto nella prevenzione».

Ma qual è il segreto della resilienza africana? Mesi fa Salim Karim, capo del comitato di esperti sulla pandemia in Sudafrica (un paese comunque colpito ben più della media africana) riteneva la giovane età media un fattore non sufficiente, anche perché d’altro canto sono presenti elementi di rischio come la densità umana e la carenza di servizi.

Per il professor Ifedayo Adetifa, epidemiologo clinico keniano, «questa felice smentita delle fosche previsioni si deve a un insieme multifattoriale che è e sarà oggetto di ricerca. L’Africa ha risposto bene non solo per l’elemento demografico che certo conta, ma anche perché nella popolazione sono presenti anticorpi per virus analoghi, e poi sicuramente i casi mortali hanno riguardato le persone più anziane e quelle che presentavano patologie croniche». Che accrescono la probabilità di esiti funesti, come ha ricordato la stessa Oms in occasione della settimana di azione sulle malattie non trasmissibili.

Secondo un approfondimento della rivista Jeune Afrique, poi, l’abitudine a far fronte alle epidemie e il ricorso obbligato a terapie semplici e poco costose hanno avuto un grande ruolo.