Per arrivare a un documento finale che andasse bene a tutti i funzionari europei e africani hanno lavorato fino all’alba limando ogni parola e mettendo insieme una serie di promesse per il contrasto alle guerre, alla povertà e ai cambianti climatici, formulate però in maniera tanto generica da non risultare impegnative più di tanto. Un documento sufficientemente vago da consentire ai leader europei arrivati a Malta per un vertice sull’immigrazione con i Paesi africani di parlare di successo.

Almeno sulla carta, perché si fa fatica a trovare traccia di impegni concreti e viste le premesse con cui l’Unione europea era arrivata a La Valletta, vale a dire convincere i leader a impegnarsi nel fermare i flussi migratori in cambio di aiuti allo sviluppo per 1,8 miliardi di euro, non è detto che sia una cattiva notizia. Anche i finanziamenti promessi, infatti, almeno per adesso esistono solo nelle intenzioni visto che di soldi veri e propri gli Stati membri ne hanno messi davvero pochini: appena 81,27 milioni di euro, stando agli ultimi dati forniti dalla Commissione europea.

E comunque anche se ci fossero tutti non basterebbero, come ha fatto presente ai leader europei il presidente del Senegal, Macky Sall, a La Valletta anche in qualità di presidente di turno della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale. L’impegno finanziario promesso è «insufficiente per tutta l’Africa», ha detto criticando anche la «troppa enfasi messa sui rimpatri, forse a causa dell’opinione pubblica». Il messaggio è chiaro: se davvero l’Europa vuole contribuire alla crescita economica dell’Africa, creando così le condizioni per fermare le partenze, serve un impegno maggiore dei quasi due miliardi di euro messi sul tavolo. E magari, va detto, con qualche garanzia che i soldi non finiscano nelle mani di dittatori senza scrupoli invece che in veri progetti di sviluppo.

Le aspettative nutrite dall’Unione riguardo al vertice di Malta erano alte. Bruxelles vorrebbe che gli Stati africani collaborassero attivamente non solo nel fermare i migranti nei paesi di origine, ma soprattutto nell’identificare quelli arrivati in Europa, facilitando così i rimpatri. Un lavoro compensato con la garanzia di aiuti economici che però non sembrano aver convinto i leader africani, che chiedevano invece ingressi legali per i propri cittadini. Per quanto riguarda i rimpatri, ha ricordato Sall, «la questione è già regolata da accordi esistenti tra l’Unione europea e i paesi africani».

Trovare un accordo che metta fine alla crisi de migranti è per Bruxelles un problema sempre più urgente, specie in un momento in cui vede sempre più muri ergersi all’interno dei propri confini. Come quello costruito in queste ore dalla Slovenia al confine con la Croazia, alimentando tra l’altro una pericolosissima controversia sui confini. La strategia europea punta quindi a rafforzare le sue frontiere esterne, paradossalmente oggi il suo punto debole, senza escludere la possibilità di trasferirle ben oltre i suoi confini. Come in Africa, dove vorrebbe creare nuovi centri nei quali identificare e smistare i migranti (altra ipotesi respinta al vertice maltese) o in Turchia dove la realizzazione di nuovi campi profughi potrebbe essere prossima. Una questione che verrà discussa il 29 novembre a Bruxelles in un vertice con Erdogan nel quale il presidente turco, forte del successo elettorale appena ottenuto, tornerà a chiedere la liberalizzazione dei visti e la ripresa del processo di adesione della Turchia all’Ue, insieme ai tre miliardi di euro già promessi da Bruxelles ma che ancora, come per il fondo destinato all’Africa, non ci sono. «L’Ue metterà a disposizione 500 milioni in due anni, ma gli Stati membri dovranno mettere gli altri 2,5 miliardi», ha ricordato ieri il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker.

Quanto sia però ancora tutto per aria, lo ha fatto capire chiaramente lo stesso Juncker nel vertice straordinario dei capi di Stato e di governo che si è tenuto sempre al La Valletta, ricordando come le operazioni di ricollocamento dei migrati stiano andando molto a rilento. I posti messi a disposizione dai paesi sono 3.246 su 160 mila, addirittura di meno rispetto al 6 novembre scorso quando erano 3.546. Mentre i ricollocamenti effettuati da Grecia e Italia sono stati appena 130. «Se si va avanti con questo ritmo si finisce nel 2101» ha detto Juncker, che non ha nascosto di sentirsi «del tutto insoddisfatto» per come stanno andando le cose.