Giuliano BattistonKabulProgrammata per il 19 ottobre, già posticipata al 14 novembre, la pubblicazione dei risultati delle elezioni presidenziali afghane del 28 settembre è stata nuovamente rimandata. Lo ha annunciato ieri la Commissione elettorale indipendente, da settimane sotto accusa per l’opacità con cui conduce le operazioni di scrutinio. Una scelta dovuta alle proteste di alcuni candidati, in particolare del primo ministro Abdullah Abdullah, partner nel governo di unità nazionale ma antagonista di Ashraf Ghani per la poltrona dell’Arg, il palazzo presidenziale di Kabul.

Abdullah Abdullah pochi giorni fa aveva denunciato come illegale il riconteggio dei voti in circa 8.000 seggi elettorali (un terzo dei totali) voluto dalla Commissione. Per lui, occorre prima chiarire quanti siano i voti totali, poi procedere con il riconteggio. Ma sui numeri c’è confusione: il 3 ottobre per la Commissione erano quasi 2 milioni e 700mila, scesi a 1 milione 840 mila circa il 2 novembre. Per Abdullah, come per altri candidati minori che contestano alla Commissione l’adozione di criteri di scrutinio che favorirebbero Ghani, nel computo totale ci sono centinaia di migliaia di voti fasulli, da escludere. Solo allora si potrà procedere con il riconteggio. Tre giorni fa la Commissione ha comunque avviato le procedure, innescando sabotaggi e proteste. Abdullah ha ritirato gli osservatori dai seggi provinciali. I sit-in dei suoi sostenitori hanno impedendo in alcune aree l’ingresso dei funzionari nelle sedi per il riconteggio. “Manifestazioni spontanee”, assicurano dal quartiere generale di Abdullah. “Proteste organizzate”, replicano i collaboratori di Ashraf Ghani, favorevole al riconteggio.

Il caos politico-elettorale è tale che in alcune province è stato deciso lo stop al riconteggio, in altre è concluso, in altre procede. Per una delle organizzazioni di monitoraggio del voto, la Transparent Election Foundation of Afghanistan, il riconteggio viola la legge elettorale. Ghani fa sapere che continua a fidarsi della Commissione e che aspetta presto l’annuncio dei risultati. Così ha auspicato Federica Mogherini, Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione europea.

Ma la frittata è fatta. Ogni decisione della Commissione è vista con sospetto, occasione di contese politiche, accuse, pressioni esterne. I commissari si alternano sui media, creando confusione. Unama, l’ufficio dell’Onu a Kabul, denuncia che un commissario avrebbe minacciato di morte funzionari riluttanti alle sue richieste. Lui replica che l’Onu vuole impedirgli di denunciare le frodi. Un tutto contro tutti che inficia ulteriormente la legittimità di un voto già parziale: hanno votato meno di 2 milioni di persone su più di 30 milioni di cittadini totali. L’altalena sui risultati e sui criteri per la validità del voto è vissuta con frustrazione e scetticismo dalla popolazione. Il teatro della politica appare lontano e corrotto. Vicine, invece, le sorti dei civili colpiti ieri da un attentato a Kabul, il primo dopo una lunga tregua.

Dodici i morti, inclusi tre bambini. La foto di due fratellini – 7 anni lui, 12 lei – uccisi nell’attacco non rivendicato contro un veicolo della compagnia di sicurezza canadese Garda World Security, fa crescere l’indignazione. C’è chi contesta al presidente Ghani la decisione di rilasciare tre autorevoli Talebani in cambio di due professori occidentali sequestrati dagli Haqqani. Ghani, pressato dagli americani, ha ingoiato il rospo. Serve a favorire la pace, ha detto. Ma potrebbe pagare il prezzo politico di una scelta impopolare.