L’annunciato avvio del negoziato di pace tra governo afgano e talebani sembra nuovamente lettera morta. Con una nota ufficiale, pubblicata ieri sul sito del movimento guerrigliero fondato da mullah Omar e ora capeggiato da mullah Mansur, i talebani respingono al mittente l’offerta del tavolo negoziale che solo due giorni fa era dato per apparecchiato sia da Islamabad sia da Kabul. Persino con una data: una prima riunione da tenersi in Pakistan entro venerdì prossimo.

Come fonti dei talebani avevano comunque già fatto sapere, la nota di ieri reitera che «l’Ufficio Politico dell’Emirato islamico (che si trova a Doha, in Qatar, e che è l’organismo deputato alla trattativa, ndr) non è stato tenuto informato in merito ai negoziati», motivo per cui sono prive di fondamento «le voci in circolazione sul fatto che delegati dell’Emirato islamico parteciperanno agli incontri con il permesso dello stimato Ameer ul Momineen, Mullah Akhtar Muhammad Mansoor (che Allah lo salvaguardi). Respingiamo tutte queste voci e inequivocabilmente affermiamo che il leader dell’Emirato islamico non ha autorizzato nessuno a partecipare a questo incontro né lo ha fatto la leadership del Consiglio dell’Emirato».

I talebani chiariscono che nessun negoziato è possibile finché non verranno rispettate le precondizioni poste dalla guerriglia a fine gennaio durante una riunione informale promossa dall’Ong internazionale Pugwash: «Fine dell’occupazione dell’Afghanistan, eliminazione delle liste nere, liberazione dei prigionieri». La guerriglia accusa infine governo e Stati uniti di utilizzare una doppia condotta: da una parte compiono raid ed espandono l’attività militare, dall’altra fanno propaganda sui risultati positivi del Comitato quadrilaterale, una commissione formata da emissari di Islamabad, Kabul, Washington e Pechino che avrebbe dovuto stendere la “road map” per predisporre l’avvio del negoziato ufficiale. Che per ora sembra nuovamente congelato.

La notizia è effettivamente una doccia fredda anche se in parte c’era da aspettarselo. E può persino darsi che alcuni elementi della guerriglia (Mansur e l’Ufficio di Doha ne rappresentano solo una porzione benché forse la più strutturata) decidano di partecipare a un processo che inizierebbe però già zoppicante. Il comunicato dice una serie di cose: la prima è che evidentemente non è la fazione che fa capo a Mansur quella convinta a partecipare al tavolo da Islamabad (che aveva citato una “lista” di talebani favorevoli al negoziato); la seconda è che, salvo smentite, viene ribadita l’unità di intenti tra la direzione talebana di Mansur e l’Ufficio politico di Doha, questione non del tutto scontata. La terza è che, se il negoziato salta, la leadership di Mansur e dei talebani della cosiddetta Shura di Quetta riacquistano forza e riescono a farsi percepire che la vera unica forza con cui bisogna parlare.

Il movimento talebano è molto diviso non da oggi e, dopo la morte di mullah Omar, alcuni esponenti del movimento e comandanti dei vari distretti non hanno gradito la manovra “centralista” con cui Mansur, già braccio destro di Omar, ha creato le condizioni per la sua nomina a nuova guida del movimento. Alcune defezioni sono state recuperate ma altre restano. Infine c’è la variabile Hezb Islami, la fazione – non esattamente talebana – che fa capo al vecchio mujahedin Hekmatyar e che controlla diverse aree nel Nord – Nord-est. Senza contare la minaccia rappresentata da Daesh, un movimento ancora debole in Afghanistan e confinato solo in alcuni distretti, ma che rappresenta un polo di attrazione per i nemici di Mansur. Che dimostra però di aver ben compreso la lezione della propaganda, e assai meglio di Hekmatyar o dei pur abili (ma non in Afghanistan) comunicatori di Daesh.

Quanto alla controparte, la Quadrilaterale per ora ha partorito un topolino. Forse, sconta il peccato originale di rappresentare un quadro internazionale molto ristretto.