Sul bombardamento di Dasht-e Archi, il governo afgano aveva mentito. Mentito con una bugia ricorrente e che abbiamo sentito ripetere molte volte anche dai suoi alleati americani e della Nato: «Abbiamo ucciso degli importanti comandanti talebani». Poi si viene sempre a sapere che non è andata così. Dasht-e Archi è un distretto, a un paio d’ore di macchina da Kunduz, saldamente in mano talebana tanto che, dopo la strage, la guerriglia scortò i giornalisti a filmare i cadaveri. Bombardarlo significa quasi per certo uccidere dei guerriglieri ma, come sempre accade, ammazzare anche un numero di civili ben superiore – in questo caso spaventosamente superiore.

Da che Trump ha inaugurato la sua nuova strategia per uscire dall’impasse afgana, più bombe sganciate triplicando i raid degli aerei Usa in servizio nel Paese, le vittime civili sono aumentate. Per mano alleata e per mano afgana visto che, tra le mansioni del sostegno occidentale, vi è anche la formazione di piloti, in grado adesso di sostituire sempre di più i padrini alleati.

Purtroppo, in questo delirio stragista, il governo afgano e il suo alleato più importante, gli Stati uniti, non sono soli. Nella coalizione che forma la missione Resolute Support figurano anche mille soldati italiani col compito di formare militari e polizia afgana. Quanti piloti abbiamo formato noi italiani in modo che abbiano una mira più precisa?

Il prospetto delle mansioni svolte dall’esercito italiano sono abbastanza precise quanto vaghe, dicono tutto e niente. Del resto la questione non è «militare» ma politica. I soldati eseguono un mandato deciso dal parlamento e da un governo che ora amministra gli affari correnti, con una guerra che è ormai diventata ordinaria amministrazione.

Ma non è un buon motivo per non chiedere conto di una missione che costa 500mila euro al giorno che, almeno in parte, potremmo riconvertire in cooperazione civile.

L’ordinaria amministrazione, l’apatica accettazione della guerra, ci sta rendendo sempre più corresponsabili della nuova strategia di Trump e il training ai soldati afgani ci rende, seppur indirettamente, anche corresponsabili della strage del 2 aprile persino se non avessimo mai dato una sola ora di lezione di volo a un giovane pilota afgano.

Chissà se nelle consultazioni di queste ore il tema della guerra è stato toccato. Chissà se rientrerà nella campagna elettorale. Intanto è bene sapere ciò di cui siamo responsabili. Una guerra che macchia anche il nostro Paese del sangue dei civili afgani.