C’è una nota di palazzo Chigi con la quale Draghi ringrazia i militati italiani e spiega che «l’Italia è al lavoro con i partner europei per una soluzione della crisi che tuteli i diritti umani e in particolare quelli delle donne». E ci sono una serie di veline che garantiscono che il ministro degli esteri è in costante contatto con Draghi e con il collega della difesa, che ha avuto un colloquio con il segretario generale della Nato, che oggi parteciperà al consiglio affari esteri straordinario della Ue «collegato dalla Farnesina». Ma intanto una serie di foto pubblicate dai vicini di ombrellone sorprendono Luigi Di Maio al mare in Puglia, e precisamente al Togo Bay beach di Porto Cesareo dove ha incontrato il presidente della Puglia Emiliano e l’ex ministro Boccia. Polemiche. Ma il punto non è la presenza o meno a Roma. Quanto l’evidente scarto tra la risposta italiana al dramma in corso e quella degli altri governi europei. A Berlino Merkel va in conferenza stampa, a Parigi Macron parla alla nazione, a Londra Johnson convoca, dopo aver sentito Macron (che ha parlato con Merkel) un G7 straordinario. Ovunque si riconosce che le operazioni per portare in salvo gli afghani che hanno collaborato con i militari Nato non saranno semplici e che non tutti riusciranno a partire. Germania, Regno unito e Francia cominciano ad ammettere gli errori e il fallimento.

Non lo fa l’Italia. Il ministro della difesa Guerini nel pomeriggio informa che «nonostante il rapido deterioramento delle condizioni di sicurezza sono pienamente in corso le attività per il trasporto umanitario». Ma dall’aeroporto di Kabul parte un solo volo per Fiumicino, con 70 passeggeri, meno della metà della capacità di carico del KC767. A bordo soprattutto il personale dell’ambasciata, in testa l’ambasciatore Sandalli. I suoi colleghi francese e britannico restano invece a Kabul, su twitter si fanno vedere al lavoro con i visti nei locali dell’aeroporto.

Appena tre settimane fa, di fronte all’avanzata inarrestabile dei Talebani che avevano già preso il controllo dell’80% dei confini afghani, Di Maio aveva garantito che «non ce ne andiamo dall’Afghanistan con i nostri volontari, la nostra cooperazione e il nostro corpo diplomatico». È successo il contrario, ma l’operazione dell’Italia per portare al sicuro chi ha collaborato con i nostri soldati sembra persino più difficile di quella degli altri paesi. L’aeroporto di Herat, dove era basato il comando italiano, è caduto prima nelle mani dei talebani e non è operativo da giorni. Sono diverse centinaia gli afghani direttamente coinvolti con la missione italiana e migliaia quelli a rischio che andrebbero salvati, a bordo del volo giunto ieri a Fiumicino ce n’erano solo venti (e cinquanta italiani).

Intanto piovono le prese di posizione dei partiti. Tutti chiedono l’intervento dell’Europa, quasi tutti l’attivazione di corridoi umanitari, qualcuno si rivolge direttamente ai talebani perché non si abbandonino alle persecuzioni, Salvini si esercita nelle definizioni della fuga dell’Occidente (l’ultima, dall’Aspromonte, è «vigliacca»). Viene chiesta a gran voce un’informativa del governo, le infrastrutture messe su per il Covid consentono riunioni a distanza. Se ne serve la commissione esteri della camera per riunire l’ufficio di presidenza, si decide per un’audizione congiunta dei ministri Guerini e Di Maio davanti alle commissioni esteri e difesa di camera e senato. Sono passati circa 50 giorni da quando Guerini aveva spiegato la chiusura della missione militare: «Non è un abbandono del campo, l’Italia rimarrà attiva capitalizzando gli impegni di questi 20 anni». Al congresso Usa l’audizione dei ministri di esteri e difesa c’è stata due giorni fa. Quella Di Maio e Guerini viene fissata per martedì 24 agosto. Fratelli d’Italia protesta: che vengano subito. Lo staff di Di Maio fa sapere che il ministro è disponibile «da questa settimana».