Lentamente verso il cambiamento, individuale e collettivo. Costola della teoria economica della decrescita, il concetto di lentezza legato alla modifica del tessuto sociale e politico passa dalla lotta alla discriminazione in un periodo storico in cui superficialità e velocità soffocano la base e le sue necessità primarie. Da qui parte il Festival della Viandanza e il suo obiettivo di redigere un manifesto della lentezza che riconosca alla comunità il diritto a vivere la propria quotidianità affrontando sogni e bisogni con il necessario ritmo naturale. A monte, esperienze di successo come quella del giornalista scrittore francese Bernard Ollivier, classe 1938, fondatore dell’associazione Seuil. Un progetto semplice, e per questo di successo, nato nelle periferie parigine, in quelle banlieue salite all’attenzione della cronaca durante le sollevazioni di giovani stranieri, spesso migranti di seconda generazione, che urlavano la loro rabbia per la radicata esclusione sociale e politica subita. «Il progetto di Ollivier è bellissimo – ci spiega l’organizzatore del Festival della Viandanza, Luigi Nacci – È la storia di una persona che decide di lasciare la propria casa in età avanzata, mettersi in cammino, percorrendo la via della seta in solitaria. Un percorso che ha trasformato un gesto individuale in un gesto collettivo.

Tornato, ha dato vita all’organizzazione Seuil che si occupa del recupero di minorenni a rischio di esclusione sociale. Cosa fa? Prende un giovane e lo mette in strada insieme ad un ‘appiglio’ – un formatore, un educatore, uno psicologo, una figura multiforme. Il giovane e l’adulto camminano da soli per tre mesi, in tracciati come Santiago di Compostela. In questi tre mesi di contatto continuo, avviene in maniera naturale un cambiamento fisico e psicologico». Il progetto di Ollivier si inserisce in una serie di percorsi simili avviati in Francia e Belgio e che coinvolgono anche adulti, in particolare ex detenuti: «Abbiamo deciso di portarlo nel nostro Festival nella speranza che venga lanciato anche in Italia: il cammino come forma di cambiamento reale. Dietro, c’è una prospettiva politica profonda: un adulto o un ragazzo in difficoltà, escluso, estraneo ai canoni imposti da una società sempre più individualistica, si trova a fare un’esperienza che in pochi mesi modifica in profondità la sua prospettiva del mondo. Come organizzazione, puntiamo con forza a questa visione politica, fondata sul concetto di decrescita, intesa come antitesi naturale alla crescita forzata e non sostenibile. L’opzione della lentezza, della semplicità dei ritmi e di una vita spartana diventano strumento di apertura verso gli altri, di condivisione solidale».
Il Festival della Viandanza, a Monteriggioni di Siena dal 20 al 22 giugno (www.viandanzafestival.it), ospiterà discussioni, dibattiti, spettacoli, camminate. Decine gli ospiti, tra cui David Riondino, Gianmaria Testa, Giuseppe Cederna, Antonio Moresco, Bernard Ollivier. Organizzato da itinerAria, con la collaborazione di numerosi gruppi e associazioni riunitisi intorno al «mondo della lentezza», avrà come teatro la Via Francigena, i suoi scorci e i suoi sentieri. «L’idea del festival è nata dall’intenzione di sdoganare questo tipo di esperienza dal mondo del trekking o della metafora sportiva e performante – continua Nacci – Ci interessava indagare il concetto del cammino a 360 gradi, il viaggio lento fisico e concettuale come possibilità di cambiamento dell’individuo, ma anche come possibilità determinatrice a livello sociale. Il viaggio è tanto, è un’esperienza turistica per chi la vuole fare, è religiosa per chi crede, è il viaggio del clandestino, del migrante, è il percorso di colui che lascia tutto e cambia vita, è la lentezza del pastore nella transumanza, è la scelta del brigante».
Dal Festival uscirà un manifesto vero e proprio che punta a fare pressioni sulle amministrazioni locali, un work in progress che si concluderà a settembre a Roma con la presentazione ufficiale: «Il manifesto della lentezza rivendica una serie di diritti, quelli di chi va lento, dai disabili ai bambini, a chi decide di muoversi a piedi o in bicicletta o è costretto su una carrozzella. Rivendichiamo i diritti di un ambiente devastato dalla speculazione selvaggia, attraverso il recupero di infrastrutture dismesse o abbandonate; chiediamo l’incentivo all’utilizzo dei mezzi lenti, dai piedi alla bicicletta, attraverso benefici fiscali, ad esempio; e chiediamo la rivalutazione di un territorio, quello italiano, dalle bellezze storiche, ambientali e paesaggistiche che meritano una diversa considerazione». La lentezza come strumento di rinascita è quella scovata da Pietro Scidurlo, 36enne di Somma Lombardo, disabile motorio dalla nascita. Nel 2012 e il 2013 percorre il cammino di Santiago in handbike nell’obiettivo di cancellare la rabbia e la frustrazione di una vita difficile: «Tutta una coincidenza: ero in ospedale e mi è stato portato un libro sul cammino di Santiago – spiega a Alias – È stato un caso, ho letto questo libro e ho pensato che quest’esperienza potesse aiutarmi.

Non pensavo di trovare quello che ho trovato, di pedalare e piangere, mai pensavo di poter avere il tempo di pensare agli errori fatti nella mia vita e a come mettervi una pezza. Sapevo solo che persone che lo avevano compiuto erano tornate cambiate. Sono partito. Il mio è stato un cammino fatto di persone e non di luoghi. Persone che ricorderò per la condivisione di una chiacchierata, una pacca sulla spalla, un bicchiere d’acqua. Una manciata di ciliegie, quelle che mi offrì una signora che incontrai la prima volta e che ritrovai la seconda, nel 2013, quando suonai alla sua porta. Si ricordava ancora di me, di quell’italiano. È solidarietà di base, semplice, elementare ma che ti regala armonia». Da qui la decisione, una volta tornato, di porgere una mano a chi, come lui, può avere difficoltà maggiori a percorrere un simile cammino. Nell’idea che un’esperienza individuale, fautrice di cambiamenti collettivi e di integrazione sociale, sia necessaria, Pietro si è messo al lavoro e ha iniziato la stesura di una guida per i viaggiatori lenti, per bisogno o scelta: «Durante il primo cammino, mi ero reso conto che la maggior parte delle strutture erano inaccessibili ai disabili o a chi aveva difficoltà di movimento.

Non solo chi viaggia in carrozzina, ma anche famiglie con bambini piccoli, malati, dializzati, anziani, non vedenti, ciliaci, diabetici. Consapevole che si tratta di un cammino e non di una corsa, per cui ‘quando si arriva, si arriva’, ho voluto fornire uno strumento a chi opta per la lentezza e a chi non ha i mezzi economici per affrontare il percorso. Ho deciso di metterci la faccia: una guida, “Santiago per tutti” sia cartacea che digitale. Insieme all’associazione Free Wheels Onlus, sto lavorando anche ad un’App che possa essere utilizzata direttamente sul cammino e che tutti possano aggiornare. Vogliamo sensibilizzare le persone a dare informazioni corrette e precise». Dietro nessuno sponsor né finanziamenti, se non donazioni individuali: «Non siamo professionisti – conclude Pietro – ma semplici volontari. Sappiamo che non sarà perfetta, ma sarà la prima guida europea per disabili. Un progetto autofinanziato. Io sono un ragazzo come tanti: lavoro all’aeroporto di Malpensa, prendo mille euro al mese e ne pago 300 di mutuo, non godo dell’invalidità perché ho un lavoro a tempo pieno e non ho avuto alcun rimborso per gli errori che l’ospedale commise quando nacqui». Forse il «cambiamento» strillato dalla politica della seconda repubblica, degli urlatori dai palchi, da chi punta all’individualismo e il liberismo come strumento di crescita, sarà sostituito dal cambiamento della base, dall’idea di una società che trova la sua realizzazione nella collettività, nel rispetto di spazi e tempi comuni, nella soddisfazione dei bisogni reali. Lentamente.