In questi giorni, il mercato degli affitti e le politiche abitative dominano il dibattito pubblico svedese e minacciano la sopravvivenza della coalizione di governo.

Mercoledì scorso Nooshi Dadgostar, eletta pochi mesi fa alla guida del Vänsterpartiet (Partito della Sinistra), aveva dato 48 ore di tempo al primo ministro socialdemocratico Stefan Löfven per tornare indietro sui piani di riforma del complesso sistema degli hyresrätt, che attualmente disciplina la fissazione dei canoni di affitto delle abitazioni private.

Nonostante la regolamentazione degli affitti sia una componente storicamente e simbolicamente importante del “modello svedese” costruito durante i decenni di egemonia socialdemocratica, Löfven ha dovuto inserire l’ipotesi di una liberalizzazione graduale nel controverso “accordo di gennaio” (2019) che aveva sbloccato mesi di impasse post-elettorale e permesso la formazione di un governo di minoranza in coalizione con i verdi e con il sostegno esterno di centristi e liberali. Questi ultimi erano – e sono – determinati a imprimere una direzione decisamente liberista in materia di politiche fiscali, abitative e del lavoro.

IL PARTITO DELLA SINISTRA, che è stato decisivo con la sua astensione nel permettere la formazione del secondo governo Löfven, ma a cui è stata formalmente negata ogni influenza politica (secondo una curiosa formulazione dello stesso accordo di gennaio), promette ora una mozione di sfiducia.

L’iniziativa si inserisce in un complesso equilibrio politico, in cui si prospettano diversi scenari: per presentare formalmente la mozione, Dadgostar avrà bisogno della collaborazione di alcuni parlamentari di opposizione, e poi del voto compatto di tutti i partiti di destra per sfiduciare il governo.

La destra “presentabile” (cristiano-democratici e moderati) sembra propensa ad approfittare della possibilità di far cadere il governo, ma è da sempre favorevole nel merito alla liberalizzazione degli affitti.

Viceversa, nel tentativo di posizionarsi come difensore dello stato sociale e delle classi medio-basse (purché bianche e “svedesi”), l’estrema destra dei Democratici di Svezia è favorevole al mantenimento del sistema attuale: ma per ovvi motivi, è molto improbabile una loro collaborazione con la sinistra, che ha infatti finora escluso ogni contatto.

Mentre cresce il malumore per la deriva liberista nell’ala sinistra e tra gli elettori del partito socialdemocratico, emerge una frattura anche tra gli alleati centristi del governo: dopo una svolta conservatrice, i liberali sono ormai proiettati alla ricostruzione di un’alleanza di centro-destra e anche alla collaborazione con l’estrema destra, mentre il Partito di Centro resta risolutamente contrario. Dadgostar pensava probabilmente di far leva su queste divisioni, acuite dalla prospettiva delle prossime elezioni (previste a settembre 2022) dall’esito quanto mai incerto.

AL DI LÀ DELLA CONTINGENZA, le questioni del diritto alla casa e della segregazione urbana hanno un posto di rilievo nel dibattito sul modello svedese di welfare e sulle sue trasformazioni. Il sistema attuale prevede che a definire il livello dei canoni di affitto sia la contrattazione tra i proprietari (cioè le grandi società immobiliari, che negli anni hanno affiancato e in parte sostituito l’edilizia pubblica comunale) e l’Unione degli Inquilini, che rappresenta gli interessi di circa un terzo dei nuclei familiari del paese.

I prezzi degli affitti vengono fissati secondo criteri predeterminati che riflettono gli standard e le caratteristiche degli alloggi, ma che prescindono dalla domanda di mercato e quindi frenano, almeno in teoria, la speculazione e la differenziazione tra i quartieri centrali e le periferie. Tuttavia, sono ormai lontani i tempi del miljonprogrammet, quando il governo investì massicciamente per un decennio (1965-75) nella costruzione di alloggi, dando forma alle periferie urbane attuali e offrendo agli svedesi un milione di nuovi appartamenti a prezzi accessibili e con standard abitativi decenti.

Negli ultimi decenni, a fronte di una continua migrazione dalle campagne alle città, la diminuzione degli investimenti è stata aggravata dalla tendenza a trasformare gli appartamenti in affitto – specialmente nei centri storici – in appartamenti di proprietà (secondo il regime di bostadsrätt), incoraggiata dai primi governi di centrodestra negli anni Novanta e poi proseguita. Il risultato sono lunghe liste di attesa per accedere agli affitti controllati – ben oltre dieci anni per un appartamento in centro a Stoccolma, ad esempio – e un mercato parallelo degli “affitti di seconda mano” con condizioni svantaggiose e poco garantite, a cui spesso gli immigrati appena arrivati sono costretti a rivolgersi.

Se, dunque, da un lato permane un livello piuttosto unico di regolamentazione, le dinamiche di neoliberalizzazione sopraggiunte negli ultimi decenni hanno trasformato il mercato immobiliare svedese in un “ibrido mostruoso”, come lo ha definito il geografo Brett Christophers, dove l’interazione disfunzionale tra elementi di libero mercato e di regolamentazione statale finiscono per minarne la sostenibilità e rinforzare meccanismi di esclusione socio-economica.

Da destra, le critiche mettono l’accento sulla rigidità del sistema attuale, che fisserebbe il prezzo degli affitti sotto il livello di mercato e quindi disincentiverebbe gli investimenti immobiliari privati necessari a soddisfare la domanda di alloggi. Da sinistra si osserva invece che è stato proprio il disinvestimento pubblico dal settore immobiliare e l’emergere di logiche di mercato a favore di poche società immobiliari, di fatto oligopolistiche (dato che in Svezia la piccola proprietà di appartamenti a uso di investimento è quasi inesistente), ad aver reso la situazione critica.

Secondo Irene Molina, studiosa di politiche abitative all’università di Uppsala, la proposta del governo – che per ora prevede di liberalizzare il canone soltanto per gli edifici di nuova costruzione – produrrebbe inevitabilmente un innalzamento dei prezzi e un aggravamento della già osservabile segregazione urbana lungo le divisioni etniche e di classe.

Ola Andersson, architetto ed editorialista per il quotidiano liberale Dagens Nyheter, ha inoltre osservato che la costruzione di nuovi appartamenti diventerebbe più esposta alle oscillazioni dei prezzi e alle dinamiche del mercato fondiario, rendendo ancora più difficile l’elaborazione di politiche abitative rispondenti alla domanda di alloggi.

Se la crisi generata dall’iniziativa del Partito di Sinistra si spiega nel contesto specifico di un compromesso di governo sempre più instabile, le questioni che apre sono quindi più profonde, interrogando l’equilibrio tra forze di mercato e pianificazione statale che identifica da sempre, pur nel cambiamento, il tentativo svedese di “terza via”.