Sono le 23 di lunedì sera, ora locale, quando la base militare russa di Hmeimim, a sud est della città costiera siriana di Latakia, perde i contatti con l’aereo di ricognizione Il-20.

Stava per atterrare. Al momento dell’interruzione delle comunicazioni era a circa 35 chilometri dalla costa, sopra il Mar Mediterraneo. Le ricerche, ieri mattina, si sono concluse con il ritrovamento dei rottami del velivolo e frammenti di corpi delle vittime.

Era notte di fuoco sopra Latakia, città a maggioranza alawita e roccaforte della famiglia Assad. È qui che i russi, dal 2015, quando sono entrati nella guerra siriana, hanno installato il loro centro operativo. Nelle stesse ore l’aviazione israeliana faceva quello che fa da anni: prendeva di mira con i missili siti siriani e, dice Tel Aviv, iraniani.

Non erano gli unici, a sentire il Cremlino: a lanciare razzi, due notti fa, era anche la fregata francese Auvergne. Elemento non da poco che amplierebbe ancora di più il raggio d’azione del fronte anti-Assad, senza che esista una risoluzione Onu in merito.

La battaglia aerea ha coinvolto l’aereo russo, abbattuto – ammetteva Mosca ieri – dalla contraerea siriana che stava intercettando la pioggia di missili di almeno quattro F16 israeliani (e forse francesi, secondo i radar russi). La mano è quella del sistema di difesa S-200, fornito dalla Russia a Damasco, ma il Cremlino è furioso e promette una risposta adeguata.

Ieri, mentre l’ambasciatore israeliano in Russia veniva convocato, il ministero della Difesa russo accusava Tel Aviv di «atto ostile»: «I jet israeliani hanno usato l’aereo russo come copertura, esponendolo al fuoco della difesa aerea siriana. L’Ilyushin-20 è stato abbattuto da un missile lanciato dal sistema S-200. Consideriamo queste provocazioni da parte di Israele atti ostili. Ci riserviamo il diritto a una risposta proporzionata», dice il portavoce del ministero, Igor Konashenkov, sottolineando come l’F16 abbia sfruttato come scudo la dimensione, ben maggiore, dell’aereo russo.

È seguita la chiamata del ministro della Difesa Shoigu all’omologo israeliano Lieberman: Mosca considera Israele, ha detto, unico responsabile dell’incidente.

Mentre la Francia negava qualsiasi coinvolgimento, a parlare ero Israele che due settimane fa si vantava di aver colpito oltre 200 volte la Siria nel corso dell’ultimo anno e mezzo. Tel Aviv ha espresso «dolore» per la perdita di vite umane, confermato i raid aerei e rigirato la frittata: «Israele ritiene l’Iran e l’organizzazione terroristica Hezbollah responsabili».

In gioco c’è lo speciale rapporto tra il governo Netanyahu e il Cremlino, necessario a Tel Aviv a mantenere sul tavolo la propria agenda, la cacciata degli iraniani dal territorio siriano. Netanyahu ha fatto più volte visita a Putin, mentre i due eserciti si scambiavano costanti informazioni sulle operazioni reciproche. Stavolta, attacca la Russia, Israele ha comunicato il lancio di missili su Latakia solo un minuto prima, impedendo all’aereo di rientrare in tempo alla base.

Nel pomeriggio Putin e Netanyahu si sono sentiti al telefono con Tel Aviv che promette di fornire informazioni per l’inchiesta e il Cremlino che ha preferito smorzare le tensioni: il presidente russo ha parlato di «catena di tragiche circostanze accidentali», non gravi come l’abbattimento da parte turca del Su-24 russo, nel novembre 2015, evento che portò alla rottura dei rapporti con Ankara, ricuciti un anno fa. La reazione, ha aggiunto, sarà la messa in «sicurezza delle nostre truppe e delle nostre strutture in Siria. Saranno passi di cui tutti si accorgeranno».

L’atteggiamento di Putin si lega a quanto accaduto poche ore prima: a Sochi accanto al turco Erdogan annunciava un accordo per la demilitarizzazione di Idlib. Ovvero, congelava la battaglia finale contro le milizie islamiste, in buona parte sponsorizzate da Ankara.

Messi insieme, accordo e reazione verso Israele, fanno pensare all’intenzione di allentare le tensioni sulla Siria: forte di un’evidente vittoria sul campo che le dà anche la regia dell’azione diplomatica, la Russia si muove con cautela, senza strappi con i nemici-amici.

Lunedì sul Mar Nero Turchia e Russia hanno optato per la creazione, entro il 15 ottobre, di una fascia di sicurezza di 15-20 km tra miliziani e governativi (pattugliata da russi e turchi), il ritiro dei qaedisti (dove andranno? Nel cantone curdo Afrin, denunciano da Rojava) e la confisca delle armi leggere e pesanti. L’offensiva di Damasco è sospesa, tramutata, almeno per ora, in operazione diplomatica. Forse proprio quel che non va giù a Israele che poche ore dopo l’accordo si ripresentava con i caccia sul cielo siriano.