«Non esiste una formula semplice per definire la relazione dell’arte con la giustizia. Ma so che l’arte – nel mio caso l’arte della poesia – non significa nulla se si limita a decorare la tavola del potere che la tiene in ostaggio». È il 3 luglio del 1997 e nella lettera indirizzata a Jane Alexander per spiegare il suo rifiuto della National Medal of Arts appena attribuitole, Adrienne Rich ritorna su un concetto cardine già espresso anni addietro in uno dei brevi saggi compresi in Blood, bread and poetry (1986). La precisione del posizionamento che lega produzione poetica e politica è stato per lei centrale e non negoziabile.

IN QUELLA FINE degli anni Novanta non intendeva partecipare a un «rituale ipocrita» come quello di un riconoscimento prestigioso accettato dalle mani della «cinica» amministrazione Clinton; nel 2003, altrettanto nettamente, insieme ad altri, aveva declinato l’invito della Casa Bianca di George W. Bush a un evento relativo alle voci poetiche americane per protestare contro la guerra in Iraq.

Eppure l’attivismo di Rich, poeta e influente pensatrice femminista, lesbica, ebrea, accademica e saggista, affilata lettrice della realtà, arrivava da lontano. Almeno dagli anni Sessanta quando a New York comincia a occuparsi di giustizia sociale e movimenti, compreso poi quello delle donne che è stato per lei approdo e principio attorno cui hanno volteggiato le sue parole più fulgide.

Morta dieci anni fa a Santa Cruz, dove si era trasferita nel 1999 con la sua compagna, la scrittrice Michelle Cliff, non si può comprendere la mole dei suoi interventi, compresi quelli poetici, se non si individua il conflitto permanente intrapreso contro la prevaricazione, la colonizzazione, l’occupazione e la guerra.

Nata a Baltimore, nel Maryland, in una famiglia benestante sia pure sull’orlo storico della Grande Depressione, il suo addestramento contro l’ingiustizia e la violenza bellica lo conosce fin da ragazzina; ha sedici anni in quel 1945 di Hiroshima e Nagasaki, è giovane quando sente alla radio le notizie dell’Olocausto e della fine dei campi di sterminio. Anche del disastro nucleare parlerà e scriverà, sentirà cioè la contezza che proviene dall’annientamento del mondo intero in nome di ragioni irrimandabili. La parola poetica allora, chiosa, può essere credibile. Non deve trascendere bensì fare il percorso inverso, discendere fin dentro la voragine delle contraddizioni terrestri di cui la guerra è verosimilmente il primo tra gli scandali inaccettabili.

Tra le macerie del presente, Rich si è mossa sempre da assoluta maestra di radicalità, mostrando che non può darsi separazione tra privato e politico. «Il mio nome è Liberazione e sono nata qui/ Di cosa hai tanta paura?». La voce arriva da un deposito di rottami e bidoni che bruciano nel suo «Salvataggio di mezzanotte», raccolta del 1999 compresa in La guida nel labirinto, ripubblicata da Crocetti pochi mesi fa (pp. 189, euro 17) e che verrà discussa, tra gli altri scritti della poeta, domani a Bologna nell’ambito del convegno «Poesia solidarietà impegno. Ricordando Adrienne Rich a dieci anni dalla scomparsa».

INSIEME ALLA RISTAMPA di Cartografie del silenzio (sempre per Crocetti, nel 2020), dobbiamo alla ostinata e autorevole dedizione di Maria Luisa Vezzali (e del gruppo collaborativo di traduttrici composto da Silvia Portaccio, Rosaria Lo Russo, Loredana Magazzeni, Antonella Anedda e Francesca Del Moro) la curatela di parte del vasto corpus (esordisce negli anni Cinquanta) cui si aggiunga la preziosità dei testi introduttivi firmati da Vezzali che situano criticamente il lavoro di Rich.

C’è, in particolare in La guida nel labirinto qualche suggerimento anche per leggere l’oggi. Così geograficamente distante e al contempo invischiato in una reiterata storia panica, tra guerre inarrestabili e cascàmi relazionali. «Quando l’attacco squassa la volta stellata quando i bagliori notturni/ confondono la notte e la giornata quando da stanze// dei quartieri alti abitate/ franano nei crateri delle strade di sotto// cornicioni di antichi decori membra smembrate/ quando il terrore vuota le strade»; in questi versi del 2001, a puntellare la resistenza di una scuola, sono i nomi di Beirut, Baghdad, Sarajevo, Betlemme, Kabul.

«Tutto qui è conflitto e lo chiamano fato», si riferisce nel 2009 alla lettura che Simone Weil fa dell’Iliade, in cui individua il centro di ogni storia umana e l’emersione del sangue che «rende tutto più reale/ pulsa nel braccio armato d’asta come nel/ collo del cecchino l’attimo/ presente – Ora! – prima/ di far fuori i bastardi».

Tagliente e rabdomante, la sua parola verso gli ultimi è parte della costruzione di una conversazione con la materialità della Storia, in cui baluginano i nomi di Antonio Gramsci, Pier Paolo Pasolini, René Char, Walter Benjamin. Tuttavia, di quella «guida» cui si suggerisce nel titolo del libro, ve ne sono di numerose qualità, conduce «sul sentiero del terremoto», carezza i baci notturni di una donna che vive per strada, attende novizi che fibrillano con il loro «eccesso di vigore» o ancora è richiesta intima di lasciarsi prendere per mano una volta scesi all’oltretomba – accade soprattutto in «Terza rima» (del 2000) che allude al viaggio della Divina Commedia; con visionarietà la mente va all’esperienza del femminismo e al ruolo di primo piano assunto da Adrienne Rich: «Ho perso la nostra via la colpa è mia/ nostra la colpa appartiene/ a noi divento la guida// che avrebbe dovuto mancare», nelle digressioni di fiumi ghiacciati, copisterie appannate, l’odore di Central Park «su marciapiede fresco e intatto».

È IN QUESTA POESIA che Rich segnala «Quanto ho odiato parlare “da donna”/ per la mera continuazione/ mentre vedevo la frattura// Da donna amo/ e odio? da donna/ mastico la mia cioccolata amara sottoterra?// Sì. No. Anche tu/ sessuato come sei odiando/ l’intero affare continui a perpetuarlo».

Altre scritture femministe hanno raccontato di eccentriche guide, per esempio nel paesaggio chimerico di San Francisco trasformatosi nell’inferno eterosessuale nel romanzo Virgile, non di Monique Wittig (1985, tradotto da Rosanna Fiocchetto per Il Dito e La Luna nel 2005 e ormai fuori commercio).

Cosa ne è dunque delle nostre relazioni umane, oltre che politiche? Lo suggerisce Adrienne Rich: «O: l’amore ti muoverà con forza/ o lo farà il commercio/ Vuoi un prete? vai all’altare// dove accordi eterni sono conclusi/ vuoi amore? discendi nel tuo cuore distruttibile».

DOMANI UN CONVEGNO A BOLOGNA

Domani a Bologna (dalle 10 alle 18, Salaborsa) il convegno «Poesia solidarietà impegno. Ricordando Adrienne Rich a dieci anni dalla scomparsa» il cui comitato scientifico è composto da Francesco Cattani, Rita Monticelli, Samanta Picciaiola, Maria Luisa Vezzali e Anna Zani.

Il Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Moderne, il Master Gemma, l’Associazione Orlando presentano un programma ricco di interventi tra cui: Loredana Magazzeni a proposito di Liana Borghi traduttrice di Rich; Elena Biagini su eterosessualità obbligatoria e continuum lesbico; Grazia Dicanio Rich e Audre Lorde; Jessy Simonini su Gramsci, Pasolini e Rich; Pina Piccolo su imperi e identità; Raffaella Lamberti su sintonie e riconoscenza. Il programma sul sito bibliotecadelledonne.women.it