Sono finalmente arrivati in Italia i bambini congolesi che attendevano da sette mesi di poter congiungersi con le famiglie adottive.
Una storia che ha fatto scalpore per i tempi apparentemente lunghi delle pratiche di adozione e per le opacità che hanno caratterizzato il comportamento della Repubblica Democratica del Congo.

Ora che tutto è finito bene, vale la pena però chiarire il quadro di riferimento internazionale in cui avvengono, ogni giorno e con tempi molto più lungi, le adozioni internazionali, e questo per cercare di capire le ragioni e le reticenze di molti Paesi che da anni si privano dei loro bambini per affidarli a coppie di altre nazioni.

La Convezione che attualmente regola questo tipo di adozioni è quella dell’Aja del 1998. Ratificata da quasi tutti i Paesi del mondo, si basa su alcuni principi irrinunciabili, tra cui: stabilire garanzie affinché le adozioni internazionali si facciano nell’interesse superiore del minore, instaurare un sistema di cooperazione fra gli stati contraenti, al fine di assicurare il rispetto di queste garanzie, ed infine assicurare il riconoscimento, negli stati contraenti, delle adozioni realizzate in conformità alla Convenzione. Questo strumento giuridico si è reso necessario per evitare le adozioni «fai da te», purtroppo spesso una copertura che sfruttava il naturale sentimento di genitorialità di molte coppie senza figli, per tessere la tela di veri e propri traffici di esseri umani, comprati e venduti al miglior offerente senza tener conto della situazione di reale adottabilità del bambino. E ancora, dagli studi sul settore del traffico di esseri umani, appare chiaro come per anni le adozioni internazionali abbiamo coperto reti che miravano allo sfruttamento sessuale dei minori, costruendo relazioni criminali tra Paesi di origine ed adottivi a questo scopo. La Convezione è stata promossa proprio dai Paesi «donatori» per proteggere i propri figli da questi circuiti criminali che ne depauperavano il bene più prezioso. Infatti, al momento, l’adozione internazionale può avere luogo solo se nel Paese d’origine sono fallite tutte le misure atte a permettere al minore di rimanere presso la sua famiglia d’origine o, in alternativa, trovare una famiglia d’accoglienza idonea nello stesso Paese. Queste verifiche necessitano spesso, come si può immaginare, di qualche tempo, ma sono una garanzia di rispetto dell’interesse superiore del bambino, come recita la Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia, base della Convenzione dell’Aja.

Risulta più chiaro, a questo punto, l’atteggiamento di molti Paesi d’origine che hanno tutto il diritto di esercitare la loro sovranità e non essere semplicemente percepiti come dei serbatoi passivi di bambini da adottare. Da questo punto di vista il sistema italiano viene considerato positivamente proprio per l’attività costante di raccordo e confronto che il nostro Paese svolge con quelli di origine. L’Italia, cioè, si assicura che in tutti gli Stati stranieri in cui opera per le adozioni internazionali vengano seguite le normative e le procedure espresse dalla Convenzione dell’Aja.

Nel corso dell’anno 2013 le famiglie italiane hanno realizzato l’adozione internazionale di 2.825 bambini, provenienti da ben 56 diversi Paesi, collocandosi al secondo posto dopo gli Stati Uniti. Ma il tema dell’adozione internazionale deve essere visto anche all’interno di uno scenario più vasto che è quello del ruolo della cooperazione internazionale allo sviluppo. Se da una parte, infatti, la generosità di tante coppie risolve con un gesto amorevole il destino di un singolo bambino, certo non cambia la situazione complessiva dalla quale questo viene. E dunque, con la stessa generosità ed impegno istituzionale con la quale il Governo ha voluto, giustamente, seguire la vicenda congolese – purtroppo con un eccesso di spettacolarizzazione che è arrivato fino alle treccine della ministra Boschi – ci aspetteremmo una rapida approvazione della riforma della Legge 49 promulgata nell’ormai lontano 1987 e che ancora regola le azioni del nostro Paese in questo campo, per dipiù elargendo uno striminzito 0,1 per cento del Pil, equivalente ad una mezza ala di F35, che certo non mette l’Italia tra quanti rispettano gli impegni Onu in materia di Obiettivi di Sviluppo del Millennio.
* presidente Terre des Hommes