La maggior parte dei genitori di adolescenti combatte una strenua battaglia per ristabilire un equilibrio col proprio/a figlio/a che un giorno esce dalla sua stanza e si presenta, tra gli altri componenti della casa, come fosse un alieno (incattivito)  catapultato sulla terra in quel momento. E di fronte al «malessere» esibito, alla saracinesca che scende sul mondo famigliare, il genitore sconcertato reagisce cercando di abbattere le barriere, vanificando ogni frustrazione, tornando indietro sui «no» educativi e di contenimento, rincorrendo la soddisfazione immediata di bisogni reali e virtuali. Il risultato è la perdita di autorevolezza dell’adulto e anche, per il ragazzo/a, lo sfilacciamento della gestione emotiva – che si fa difficile – di qualsiasi ostacolo insorga nella vita. Eppure, l’adolescente tenta di definire ogni ora dell’esistenza una sua possibile identità: la confusione di ruoli non è proprio una risorsa.

Lo smarrimento delle certezze infantili, così come le mutazioni del corpo, sono «riti di passaggio» che non si possono lenire né evitare. È necessario farci i conti. Secondo Tiziana Iaquinta (pedagogista) e Anna Salvo (psicoterapeuta), autrici del libro Generazione tvb (Il Mulino, pp. 175, euro 15), i nativi digitali possiedono una marcia in più nel dare ascolto alla «seduzione dell’altrove».

Connessi, in condivisione perenne, vivono  in un involucro che fa loro privilegiare l’essere on line rispetto  a una riunione di gruppo in pizzeria. Fisicamente sono lì, felici di essersi incontrati, ma una manciata di secondi dopo, mentalmente e sentimentalmente sono già lontanissimi. È il loro modo di affrontare la fatica di crescere, con compulsivi selfie che ribadiscono le loro immagini (e anche i loro immaginari di riferimento), post che segnano il confine della popolarità tra pari (si spera), con qualche inciampo all’orizzonte. Per esempio, la perdita della capacità di elaborare ciò che accade. Il selfie in rete non riguarda il narcisismo, ma è una tecnica di relazione con l’altro, che chiama in causa tutti, sia in maniera conflittuale che idilliaca. Proibire l’accesso ai network, invitare l’adolescente a una solitudine meditativa è però inutile.

Cosa devono fare allora i genitori che, a questo punto del discorso, hanno le mani nei capelli? In verità, non ci sono risposte certe. Gli interrogativi restano aperti: quello dei nativi digitali è un nuovo modo di tenere testa alle loro fragilità. Con quali risultati, è forse ancora presto per dirlo. Il libro, però, offre qualche suggestione: invita a parlare i «protagonisti», quegli stessi di cui, in genere, si discute in rigorosa «assenza».