«Siamo favorevoli al salario minimo orario perché i contratti collettivi non garantiscono sempre una copertura universale a tutela dei lavoratori – afferma Luca Dall’Agnol di Adl Cobas, il sindacato molto radicato nel settore della logistica in Italia – La copertura dei contratti nazionali riguarda l’80 per cento dei dipendenti, ma sta diminuendo a causa della crescita del lavoro indipendente e parasubordinato che non rientra nella contrattazione. In questo mondo ci sono i giovani, le donne i migranti, le componenti più deboli della forza lavoro. Sebbene i minimi tabellari dei contratti collettivi possano essere estesi a chi non ha un contratto, o si trova in una situazione di sotto-salario e viene pagato meno di quanto dovrebbe, per vedersi riconoscere il contratto deve andare in tribunale, capire qual è il suo contratto e farsene riconoscere uno da un giudice che può scegliere tra un pletora di contratti. Non siamo in presenza di un meccanismo semplice, automatico e riconoscibile. Il salario minimo offrirebbe uno standard chiaro e noto a tutti in anticipo. Sarebbe più efficace rispetto ad altri strumenti più farraginosi.

In Senato ci sono due Ddl dei Cinque Stelle e del Pd che fissano il salario a nove euro lordi o netti. Qual è la cifra giusta?
La discussione dev’essere senz’altro sull’importo orario, ma soprattutto sulla composizione del salario. Dipende da cosa contiene questa cifra di nove euro. Mi sembra invece che la discussione sia ancora solo formale.

Il salario minimo è un ostacolo alla contrattazione collettiva come ritengono i sindacati confederali?
Non c’è scritto da nessuna parte che escluderebbe la contrattazione, anzi dovrebbe aiutare a contrattare di più. Noi vediamo la disapplicazione dei contratti collettivi, altre volte non esistono, oppure non c’è vigilanza sul loro rispetto. Porre una soglia al di sotto della quale il salario non può scendere è corretto. Soprattutto in un periodo di perdita di potere di acquisto come questo.

Per il ministro del lavoro Di Maio «il salario minimo non deve essere un onere per le imprese» e sarà finanziato dall’aumento della produttività. Ma se la produttività non aumenta chi finanzia il salario minimo?
Temo che saranno i contribuenti e i lavoratori dipendenti a doversene fare carico attraverso un’imposizione fiscale già altissima.

In molti chiedono di legare il salario minimo alla rappresentanza nei luoghi di lavoro. Cosa ne pensa?
Siamo per la democrazia e il pluralismo sindacale. Riteniamo che a chi rappresenta i lavoratori deve essere garantito dall’articolo 19 dello statuto dei lavoratori. E chi ha la maggioranza dei lavoratori ha diritto a firmare gli accordi, sia nel caso dei confederali, sia nel caso di Adl Cobas. Ogni accordo dev’essere sottoposto al consenso dei lavoratori. Non si può pensare che, solo per avere partecipato alla concertazione, ci siano organizzazioni più avvantaggiate di altre rappresentative sui luoghi di lavoro.

Qual è il suo giudizio sui «contratti pirata»?
Esistono, il salario minimo risolverebbe una parte importante del problema. Ma non tutto è risolvibile con formule giuridiche. Il conflitto è determinante. Nella logistica ha permesso a noi, o al Si Cobas, di firmare accordi di portata nazionale migliorativi di quelli firmati da altri, non avendo i diritti riconosciuti ad altre organizzazioni. La misurazione della rappresentanza formale non risolve i problemi se non ci sono processi di soggettivazione dei lavoratori e conflitti che portano a un miglioramento collettivo dell’impiego e delle retribuzioni.