«Dobiamo introdurre un reddito minimo di garanzia per i poveri, come c’è in tutti i Paesi europei tranne Italia e Grecia. E le dirò di più: all’Unione europea non interessa che noi facciamo la riforma del Senato, dobbiamo dirgli che abbiamo introdotto il reddito minimo così come abbiamo sostenuto l’occupazione femminile e dei giovani». Per Chiara Saraceno, sociologa famosa per i suoi studi su famiglia e politiche sociali, i dati dell’Istat sulla povertà contenuti nel rapporto della Caritas sono la conferma di una tendenza purtropo già conosciuta. «Il pregio della Caritas è di aver messo insieme le politiche attuate per far fronte all’umento della povertà assoluta, perché è di questo che stiamo parlando. In qualche modo la crisi ha fatto sì, che, dall’ultimo governo Berlusoconi in poi, la povertà entrasse a far parte dell’agenda politica. Cosa che non avveniva dal 1996, quando è stata fatta la sperimentazione del reddito minimo. La social card di Tremonti è stato il primo segnale che qualcosa bisognava fare. Però a fronte di questa ripresa di attenzione, che ha comportato anche un aumento progressivo dei fondi stanziati, non si è andati al di là di iniziative occasionali.

Non interventi strutturali, quindi, ma interventi spot.
Non strutturali e sperimentali, a volte anche mal disegnati come nel caso della social card dove addirittutra non riuscivano a spendere i fondi stanziati. E c’è il rischio che questo errore si ripeta.

La Caritas sancisce il fallimento di queste politiche sociali.
E io condivido perfettamente. E’ importante che la Caritas e altre importanti associazioni dicano al governo: guardate, smettiamo di fare iniziative spot o sperimentali, perché la sperimentazione in questo paese serve solo per fare interventi simbolici, visto che i risultati non vengono mai utilizzati.

Da questo giudizio critico non si salvano neanche gli 80 euro di Renzi.
No, ma attenzione: gli 80 euro – che la Caritas pure inserisce nel rapporto, in realtà non sono destinati alla povertà né ad aiutare le fasce più deboli, anche se poi nella retorica è quello che si dice. Sono mirati a sostenere i lavoratori a basso reddito, quindi neanche quelli il cui reddito non basta a sostenera la famiglia. E infatti possono essere presi da tre persone della stessa famiglia, ma non da un lavoratore che è l’unico a portare casa un salario solo perché supera di un euro il tetto prefissato, e magari ha tre figli a carico oltre al coniuge. E’ un errore dei politici, che confondono il lavoratore che guadagna poco con la famiglia povera, creando così questi effetti paradossali. anche se non voluti. Sono certa che né Renzi né Poletti pensavano che gli 80 euro sarebbero stati presi da tre persone della stessa famiglia – che non sono completamente povere -, mentre non li prende una famiglia povera.

Visto il fallimento di queste politiche lei cosa suggerirebbe come sostegno alle famiglie povere?   
Nel 96 ho fatto parte della commissione povertà e già allora proponemmo il reddito di [I     Nel Nel 96 ho fatto parte della commissione povertà e già allora proponemmo il reddito di riferimento, che non è diverso dal reddito che propone la Caritas. Da allora non è successo niente, evidentemente sono io che porto sfortuna.

Cambia anche la figura dei poveri: non sono più sotanto le famiglie numerose del Sud.
Sono sempre più quelle lì. Nel senso che il divario nord-sud si è allargato, ma in aggiunta a quelle ormai ci sono anche le famiglie con due figli: non è più il terzo figli che fa sbarellare i conti. Ma soprattutto quello che è cambiato è che oramai la povertà si sta concentrando tra i bambini, e questo sta avvenendo da un bel po’ visto che ha a che fare con le famiglie numerose, ma anche tra i giovani e sulle famiglie giovani. Gli unici per i quali la situazione non è peggiorata di molto sono gli anziani, non perché stanno meglio, ma perché il loro reddito, e in particolare il reddito delle pensioni più basse, è l’unico che è stato un minimo garantito visto che per loro è stata mantenuta l’ indicizzazione.