Il futuro presidente del consiglio sarà dunque l’avvocato Giuseppe Conte, devoto di padre Pio e benvoluto in Vaticano, salito ieri al Quirinale sulla scia dall’ingombrante curriculum che ne ha rumorosamente anticipato la chiamata al Colle. Scandagliare la vita di chi si candida alla cosa pubblica, non è una cattiva abitudine. Anche mettendo nel conto le performance non sempre convincenti dei neofiti della pubblica morale. È bene sapere chi abbiamo di fronte specialmente quando ad affacciarsi al timone del governo è un tecnico catapultato nel ruolo di guida politica del paese.

Una cosa, importante, però, non ce la può dire il curriculum: il tecnico Conte sarà al servizio di due partiti che tirano i fili di tutto. Sia, come è naturale, del futuro consiglio dei ministri, ma anche del parlamento se le assemblee parlamentari saranno ridotte al rango di esecutrici del contratto di governo.

Dopo il lungo colloquio con Mattarella, in una breve dichiarazione, il presidente incaricato ha fatto proprio «il governo di cambiamento formato su un contratto a cui ho contribuito e che rispecchia in pieno la domanda dei cittadini». Rivendicando poi le sue prerogative costituzionali e promettendo di voler essere «l’avvocato difensore di tutti gli italiani».

Nel recente passato ha voluto sottolineare di avere idee di sinistra. Vedremo in che modo le potrà conciliare con la destra leghista, pronta a gestire una grossa fetta di potere romano. Tuttavia quello che si prepara non sarà il governo più a destra della Repubblica, la storia ne ricorda altri.

Come il Tambroni monocolore dc con l’appoggio del Msi, e la sua scia di morti in piazza. Ma è certo che la mano dura dei ministri, a cominciare da quello dell’interno, potremmo riassaggiarla domani, quando conosceremo l’organigramma del governo. Si può facilmente prevedere che sul Viminale sarà issata la bandiera nazionale della ruspa contro i rom, gli immigrati, i nullatenenti. E il via libera alle armi da fuoco non renderanno più tranquille le nostre strade. Del resto nella caccia grossa i leghisti sono bravi e Salvini si è dimostrato un maestro. Anche il leghista Giorgetti farà parte della squadra, così avremo al governo un esponente del fronte antiabortista militante.

Intolleranza e razzismo, già sdoganati da un bel pezzo, saliranno al potere e bisognerà contrastarli per difendere democrazia e convivenza. Democrazia sul piano delle libertà, su quello della giustizia, contro nuove carceri quando andrebbero rese vivibili, liberate da chi può uscirne per essere messo alla prova, con investimenti per le condizioni di chi ci lavora.

Ma il banco di prova saranno le scelte economiche. Che si parli di reddito di cittadinanza ha una importanza relativa. Non abbiamo capito come verranno finanziate le faraoniche riforme sociali scritte sulla carta. Né che fine faranno quelle che non costano niente come il ripristino dell’articolo 18, destinato a restare in fondo al cassetto. Il Jobs act renziano continuerà con i sussidi alle imprese, i soldi per la sanità da dove arriveranno? Le domande sono la logica conseguenza dell’indeterminatezza del contratto di governo, vago quanto mai su politica estera, lavoro, welfare e istruzione, secondo la classifica di fumosità stilata dall’istituto Cattaneo. Che, tuttavia, lo giudica più sbilanciato sulle politiche sociali, di sinistra, che sulla sicurezza.

Sapremo presto come finirà la grande contesa attorno al ministero dell’economia e al nome del professor Paolo Savona. Intorno al nocciolo duro del debito pubblico e della politica europea, legate a doppio filo (anche nella dichiarazione di fede europeista dell’incaricato) probabilmente si misurerà la durata dell’esperimento.

Se si arriverà al giuramento dei ministri, questo governo Lega-Stellato potrebbe durare a lungo. La sinistra dovrebbe attrezzarsi a una lotta di lunga durata. Lasciando da parte le giaculatorie, come ha scritto ieri Marco Revelli sul manifesto, per concentrarsi sulla vasta portata dello scontro e del confronto a cui saremo chiamati.