In Yemen la crisi economica morde da anni, viaggia in parallelo con la guerra che non accenna ad arretrare. Ieri la crisi è esplosa ad Aden, la città costiera meridionale dal 2014 sede del governo ufficiale yemenita, in auto-esilio da quando il movimento Ansar Allah, braccio politico degli Houthi ha occupato la capitale Sana’a.

Decine di lavoratori pubblici hanno preso d’assalto il palazzo presidenziale – dove sono basati il primo ministro Abdulmalik e alcuni ministri, portati via dall’esercito – chiedendo il pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici e dei soldati in pensione. Secondo al Jazeera, tra loro ci sarebbero stati anche membri delle forze di sicurezza, senza salario da nove mesi.

Le foto mostrano la folla accalcata fuori dal Ma’asheeq Palace e il capo della sicurezza della città, Mathar al-Shaebe, negoziare con un gruppo di manifestanti per convincerli ad arretrare. Ma il problema resta ed è strettamente legato alle condizioni in cui l’operazione militare a guida saudita ha lasciato il paese, costantemente sull’orlo della carestia, con oltre 20 milioni di persone dipendenti da aiuti umanitari che arrivano a intermittenza.

Il governo in carica era stato nominato nel 2020 dopo un accordo tra il presidente Hadi, alleato di ferro dell’Arabia saudita, e il Consiglio di Transizione meridionale, ovvero il movimento separatista legato agli Emirati e capace negli ultimi mesi di assumere il controllo de facto di Aden.

A nord la situazione non è migliore né per i civili yemeniti né per i migranti africani chiusi in centri di detenzione. Secondo Human Rights Watch, sono stati dei «proiettili non identificati» lanciati dalle forze Houthi a provocare il 7 marzo scorso un incendio in un centro a Sana’a: circa 60 migranti sono morti bruciati all’interno, oltre 170 i feriti.

Alcuni testimoni hanno parlato di una protesta scoppiata nel centro, dove sono detenuti per lo più etiopi, per le condizioni di sovraffollamento. Le guardie li hanno raccolti in un hangar e poi hanno aperto il fuoco con armi non specificate, provocando l’incendio. La risposta degli Houthi alle accuse di Hrw l’ha data il portavoce Mohammed Abdulsalam secondo cui la colpa è del blocco imposto dai sauditi su Sana’a che impedisce ai migranti di tornare a casa.

In merito è intervenuto ieri anche l’Onu che, tramite l’inviato speciale per lo Yemen Martin Griffith, ha chiesto un’indagine trasparente e indipendente sull’accaduto. Nello stesso intervento Griffith ha aggiornato il Consiglio di Sicurezza sul deterioramento della situazione nel paese, l’aumento degli attacchi alla frontiera e il dramma di una popolazione senza futuro apparente.