Se n’è andato anche Tom Verlaine, a settantatré anni, se n’è andato l’uomo e l’artista che, per dirla con le parole meravigliose della sua ex compagna, la poetessa rocker Patti Smith, quando metteva le mani sulla chitarra sembrava evocare “l’urlo di un migliaio di uccellini azzurri”. È un inizio d’anno dolente, per il mondo del rock, sotto tiro continuo della Signora in nero ad ogni latitudine: prima è volato via Jeff Beck, il maestro che ha traghettato l’acidulo  beat inglese nel jazz rock più raffinato e coinvolgente, poi il signore celestiale della West Coast americana, David Crosby, lasciandoci una sciame di tintinnii e il ricordo di una voce unica libertaria. Ora li raggiunge Tom Verlaine, e il triste puzzle aggiunge la tessera mancante della East Coast, il vecchio ragazzo punk del Delaware che aveva incendiato le notti urgenti e acide della New York della fine degli anni ‘70 con i suoi Television. Quando in Italia iniziava l’ultima fiammata del Movimento e Cossiga mandava i blindati per le strade di Bologna, nei locali della Grande Mela si materializzava la vampata punk rock che evocava, in tempo reale, la fine di un’epoca, accentuandone i colori lividi e acidi. Tom Verlaine era un ragazzo cresciuto a hamburger, musica e poesia: la traccia più evidente nel cognome d’arte che s’era scelto, tributo al poeta Paul Verlaine. Lui di cognome faceva Miller, come il drammaturgo sposo di Marilyn, o lo scrittore del Tropico del Cancro.Quando in Italia iniziava l’ultima fiammata del Movimento e Cossiga mandava i blindati per le strade di Bologna, nei locali della Grande Mela si materializzava la vampata punk rock che evocava, in tempo reale, la fine di un’epoca, accentuandone i colori lividi e acidi.

ARRIVATO nella Grande Mela prima aveva dato vita al breve sodalizio dei Neon Boys, assieme a Richard Hell, poi, nel ’75, ai Television, la band che lo consegna alla storia della popular music per sempre. Avevano un attacco ruvido e travolgente i Television, merito di una ritmica forsennata e dell’attacco frontale delle due chitarre, una in mano a Richard Lloyd, l’altra, quella decisiva, a Tom Verlaine: con il suo modo di procedere irregolare, frastagliato, disseminato di cruciali distorsioni, che riusciva a innescare anche deflagranti fughe in  avanti. Si riascolti Marquee Moon, il brano che intitola il primo e memorabile disco dei Television: sono quasi dieci minuti cruciali, intessuti, come direbbe Roger Waters, di una “quieta disperazione”. Ne trovate traccia, da lì in avanti, in certo lavori dei Wilco e dei Dream Syndicate. E poi ci sono i testi, spesso sibillini, sempre bellissimi, frutto anche di letture e di un confronto diretto con la sua compagna d’allora, Patti Smith. A cui regala la sua chitarra ulcerata nei primi due dischi. Nel 1979 Tom Verlaine si lascia alle spalle le pressanti avventure dei Television e inizia una carriera solistica costellata di bei dischi ben meditati e grandi canzoni: una, dal primo lavoro, Kingdom Come, la vorrà ricantare a tutti i costi un incantato David Bowie.

MA LA QUALITA’ c’è tutta anche in incisioni come Dreamtime, Flash Light, Warm And Cool, quest’ultimo solo strumentale: a dimostrazione che l’ispida polpa melodica di Tom Verlaine poteva strutturare anche grande musica pura. Nella metà degli anni ’90 Tom Verlaine riallaccia i contatti, mai del tutto interrotti, con Patti Smith, e torna con lei sui palchi e in studio. Impossibile però non ricordare la splendida,  sfortunata avventura di produzione con Jeff Buckley, il songwriter di Grace annegato in un fiume. È Verlaine a indirizzare il magmatico flusso di idee, suoni e abbozzi di canzoni di My Sweetheart the Drunk, che Jeff non farà in tempo a vedere. Un giorno chiesero a Tom Verlaine cosa avrebbe scelto, come titolo per una sua biografia. Lui rispose con un epitaffio punk: “lottare una vita per non avere una carriera professionale”.