Le note maestose ed epiche di African Lady – il cui testo fu scritto dal poeta Langston Hughes – risuonano nella mia testa e Randy Weston appare più vivo che mai, anche se è scomparso il 1 settembre. Il pianista e compositore afroamericano è morto nella mattinata a New York, nella sua casa di Brooklyn, in pace: era seduto davanti al pianoforte – secondo la testimonianza della moglie, Fatoumata – e non era affetto da particolari malattie. Nato nel 1926, Weston era ancora attivo, lucido, progettuale: stava scrivendo un libro sulla spiritualità e l’Africa basato sulle proprie esperienze nel Black Continent ed in giro per il mondo, aveva da poco pubblicato un doppio Cd per piano solo (Sound) ed effettuato un paio di tour europei a maggio e luglio, toccando Vicenza e Roma, con memorabili concerti in duo (insieme al tenorista Billy Harper) ed alla guida del quintetto African Rhythms.

Il suo avvocato Gail Boyd ha dichiarato (lo si legge sul sito ufficiale dell’artista) di aver parlato a fine agosto con il pianista e la moglie: “Sembrava il ritratto della salute e abbiamo discusso un piano di viaggi e concerti negli Usa, nei Caraibi e in Africa. La sua morte improvvisa ci ricorda che è necessario vivere la vita con intensità, e Randy ha fatto proprio questo donando amore e gioia alla propria famiglia, agli amici, ai fan”. Parole da condividere in pieno; Weston aveva peraltro dimostrato la sua generosità e statura artistica nella tappa estiva capitolina (per il Roma Jazz Festival): una serata di musica piena di energia e voglia di vivere, un connubio intenso tra Africa ed Americhe (suo padre, di origini giamaicane, era nato a Panama, fiero seguace del Marcus Garvey teorizzatore del “back to Africa”) alle radici profonde del jazz e del blues ma proiettato in una sintesi attualissima e potente. La sua vita è racchiusa soprattutto nei molti album – ha iniziato a pubblicare nel 1954, in duo, e del 2016 è la complessa The African Nubian Suite dalla dimensione storico-sonora – come nell’autobiografia African Rhythms (Duke University, 2010, “composed by Randy Weston, arranged by William Jenkins”, poliedrica figura di giornalista).

Estesa nell’avvincente libro è la parte dedicata agli anni passati in Africa (1968-’73), esperienza che rende Weston unico tra i jazzisti in quanto ha vissuto e lavorato per anni nel Continente Nero, suonando con i musicisti locali (in particolare Gnawa) ed elaborando una sintesi profonda di linguaggio basata sul blues e sul magistero di Duke Ellington e Thelonious Monk. La sua poetica era, inoltre, alimentata da una complessiva rivalutazione del ruolo dei popoli africani nella vicenda dell’umanità, fondata sulle teorie dello storico senegalese Cheick Anta Diop, sostenitore – tra l’altro – di una visione neroafricana della civiltà egizia.

Randy Weston al pianoforte con Billy Harper, in un recente scatto di Pino Ninfa

Randy Weston, però, non ha mai coltivato forme di nazionalismo nero quanto una concezione della storia in cui l’Africa e la sua diaspora avevano un ruolo fondamentale e seminale: nel 1960 la pubblicazione del suo album-suite Uhuru Africa (arrangiamenti di Melba Liston, testi di J.L. Hughes e l’apporto entusiastico di un’orchestra che andava da Max Roach a Clark Terry) celebrava la fine del dominio coloniale per diciassette stati africani e la nascita di nuove speranze per il mondo tutto, non solo per i Neri d’America. Profondamente spirituale, il pianista sosteneva un solido legame con i propri antenati e Spirit of Our Ancestors del 1991 (con Dizzy Gillespie, Benny Powell, Pharoah Sanders, Dewey Redman, Yassir Chadly e Talib Kibwe, tra gli altri) è uno dei momenti più alti della sua sempre ispirata produzione discografica.

“Io veramente credo che gli antenati giochino un ruolo davvero importante in ciò che facciamo con le nostre vite. Così – scrive il pianista alla fine della sua autobiografia – quando sono su questo palcoscenico, Duke Ellington è qui con me, come Monk, Mamma e Papà, Billie Holiday, Diop, le civiltà africane… sono tutti qui. Così ciò non è solo Randy Weston, è la collettività di questi spiriti. Dio mi dato un dono che io ho proiettato nel pianoforte. Il mio messaggio in musica è unità per il nostro popolo, essere fieri di chi siamo e di ciò che abbiamo dato come contributo al mondo. Questa musica vivrà per sempre e questo è il mio successo”.

Ascoltando Little Niles, Fire Down There, Kucheza Blues, Congolese Children, In Memory Of, Night in Medina, Tanjah, Love the Mystery of Love, African Village/Bedford Stuyvesant, Portrait of Vivian (sua madre), Blues to Africa, Tanjah, African Sunrise, The Call … (composte in un arco di oltre 60 anni) si rivive la storia di un popolo raccontata in musica, ritmo, energia positiva, creatività. Ancient Future è il messaggio di Randy Weston, un jazzista 92enne che ha vissuto con passione e intensità uniche la sua lunga stagione.