Il regista teatrale britannico Peter Brook è morto sabato 2 luglio all’età di 97 anni a Parigi, dove si era stabilito nel 1974. È stato un uomo di spettacolo completo che appartiene alla generazione europea dei riformatori teatrali della seconda metà del Novecento. Ha firmato molte messinscene memorabili, talvolta trasferendole sullo schermo.

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Brook si è sempre impegnato per riuscire a far scomparire in scena ogni artificio, per far sì che il diaframma tra la vita e l’arte venisse superato, praticamente annullando il concetto di finzione davanti alla rivelazione di una verità esistenziale profonda.  Così con lui il teatro diventava esperienza intima collettiva di vita, perché «quando un gruppo di persone è riunito per un evento molto intenso, che deve esprimere tutto ciò che in poesia un grande autore può dare, lo spirito diventa tangibile come è tangibile che quest’impressione non si può avere in solitudine e il suo senso per tutti è che la vita può essere vissuta».

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Il teatro è entrato nella vita di Brook sin da quand’era ragazzo, ha firmato la sua prima regia a 18 anni, facendosi notare anche come interprete delle opere di Shakespeare, tanto da diventare, prima, direttore del London’s Royal Opera House e, nel 1962, della Royal Shakespeare Company, dove affiancava ai classici una serie di opere moderne e lavori sperimentali ispirate in particolare al teatro della crudeltà di Artaud, come un celeberrimo Marat-Sade di Peter Weiss e Us lavoro che faceva riferimento alla violenza della guerra in Vietnam.

Tra le altre messe in scena memorabili il colossale Mahabarata, opera  imponente dalla durata di nove ore realizzata per Avignone nel 1985, poi divenuta anche film e recentemente graphic novel.