Cascata di capelli rossi, mises elegantissime, sguardo penetrante che infiamma la platea: non si poteva resistere alla cantante di Goro – Milva – scomparsa ieri a ottantun anni dopo un ritiro decennale a vita privata per motivi di salute. Voce possente ma dalle modulazioni infinite, capace allo stesso tempo di passare dalle ardite sperimentazioni di un’opera di Berio alle pieghe della Storia racchiusa nei capolavori brechtiani lasciandosi scivolare addosso partiture pop con lo stesso immutato entusiasmo. Poche, pochissime artiste hanno saputo reggere palcoscenici tanto diversi – La Scala, l’Olympia, Carnegie Hall, Studio Uno – con tanta padronanza. Ecco, con Milva l’irrequietezza della ricerca tout court e l’afflato popolare andavano a braccetto senza che mai sembrasse una forzatura: Piazzolla e Amalia Rodriguez, Berio come un malizioso brano dei Pooh («Hai le braghe che scoppiano…», Uomini addosso, 1993). L’ascoltavi prodursi nell’Opera da tre soldi e la stessa emozione la metteva sul palco del festival di Sanremo, frequentato per ben quindici volte – un record tuttora imbattuto – ma senza che mai riuscisse a vincerlo, come lei stessa ricordava prendendosi in giro con garbata ironia.

LA DEFINIZIONE più bella dell’arte e delle doti artistiche di Milva l’ha data Enzo Jannacci, che le ha cucito addosso nel 1980 un vero e proprio manifesto musicale e esistenziale: La Rossa – album di rivisitazioni dove l’interprete di Goro sostituisce al canto sgangherato dell’autore il suo contralto profondo e passionale. «Venuta su a patate e lenti ma gli occhi sempre sorridenti» – recita il brano che intitola il disco – sorta di riassunto degli inizi di Milva nata a Goro nel 1939 che inizia giovanissima a muoversi nelle balere romagnole con il suo nome d’arte, Sabrina, mentre studia canto. Nel 1959 vince un concorso indetto dalla Rai per voci nuove e incide una sua versione di Milord di Edith Piaf, quasi un segno del destino per un repertorio – quello francese – che le sarà sempre congeniale. La sua prima volta sanremese – con Il mare nel cassetto (1961) – le dà la notorietà, poi arriveranno brani leggeri e popolari (Flamenco rock, Tango della gelosia, Tango italiano) mentre appare per la prima volta su grande schermo ne La bellezza di Ippolita di Giancarlo Zagni (1962) al fianco della protagonista Gina Lollobrigida. Sincera passione per il grande schermo ma poche frequentazioni, si contano sulle dita della mano, anche perché Milva inizia subito interminabili tour mondiali.

INQUIETA, CURIOSA capisce che il cliché della ragazzotta di provincia dalla grande voce, finta rivale di Mina – la tigre di Cremona contro la pantera di Goro, pura invenzione scandalistica – le sta stretto. Scopre il gospel e con il recital e album Canti della libertà (1965) si avvicina alla recitazione, approdando nel 1965 con Paolo Grassi e Giorgio Strehler (ne parla Gianfranco Capitta in questa pagina) che diventa sua guida e maestro al Piccolo di Milano.
Ma l’incontro con il teatro non la distoglie dal suo impegno con la musica leggera: nel 1971 svetta nella hit parade con La filanda, adattamento italiano di un brano di Amalia Rodriguez e un anno dopo nasce Dedicato a Milva, un album scritto per lei da Ennio Morricone. Nel 1978 Milva diventa artista di culto in Germania e in Francia, grazie anche a un disco dal vivo straordinario Canzoni tra le due guerre, dove esplora il repertorio italiano e internazionale a cavallo fra i due conflitti mondiali. Un’altra scoperta di quel periodo è la Grecia; conosce e collabora con Mikis Théodorakis e nel tempo realizza altri progetti dedicati alla musica ellenica fra cui Volpe d’amore (1994), con brani di Thanos Mikroutsikos.
Gli anni ottanta di Milva sono ancora più frenetici e ricchi di produzioni che la esaltano – in televisione dove si scopre soubrette di rango: nel 1980 al fianco di Oreste Lionello in Palcoscenico per la regia di Antonello Falqui, che la vuole in altri due storici show del sabato sera come Buonasera con e soprattutto Al paradise (1983). Nel 1984 il sodalizio con Astor Piazzola nel recital El Tango, in cui mostra totale padronanza del repertorio del maestro argentino. Una vita in cui inevitabilmente il pubblico ha il sopravvento sul privato. Le storie di Milva riempiono i settimanali scandalistici: dal matrimonio con Maurizio Corgnati, il suo pigmalione, da cui nascerà la sua unica figlia, Martina, critica d’arte che l’ha accudita negli ultimi anni, alle convivenze con Mario Piave, Luigi Pistilli fino all’incontro con il filosofo Massimo Gallerani.

IL CONFINE TRA ARTE E POP, cultura alta e bassa, trova la sua sublimazione nel 1982, quando approda alla Scala dove porta La vera storia, un’opera in due atti di Luciano Berio su libretto di Italo Calvino e inizia la collaborazione con Franco Battiato con il quale realizzerà tre dischi: Milva e dintorni, Svegliando l’amante che dorme (1989) e Non conosco nessun Patrizio (2010), album con cui si congeda dal pubblico. Una collaborazione tra due personalità tanto opposte da risultare, insieme, perfette. Milva sdoppia la sua voce, si fa contralto e soprano, cantando un intreccio di angeli rock, piramidi egizie, riferimenti alla Russia prima della Rivoluzione, in cui leggerezza e partiture sperimentali si fondono senza forzature apparenti.
Milva affronterà negli ultimi anni della sua carriera altri impegnativi progetti: un incontro con Alda Merini le cui poesie, musicate da Giovanni Nuti, finiranno nell’album Milva canta Merini (2004) mentre con Giorgio Faletti in veste di autore di musiche e testi, metterà a punto un intero lavoro – In territorio nemico (2007) che contiene The Show must go on, titolo profetico per l’ultima sua apparizione in gara al Festival di Sanremo. La camera ardente di Milva sarà allestita nel foyer del Piccolo Teatro Strehler, martedì 27 aprile, dalle ore 9.30 alle ore 13.30. I funerali seguiranno in forma strettamente privata.