Da tempo la magistratura progressista è in fibrillazione. Ieri la tensione è esplosa con un atto ufficiale: una parte di Magistratura democratica (Md), la storica corrente di sinistra delle toghe, se ne va. A lasciare sono venticinque iscritti di peso, che hanno comunicato la loro decisione con un documento circolato nelle mailing list del gruppo. In calce le firme di due ex presidenti dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), Eugenio Albamonte e Luca Poniz, di Anna Canepa, alla guida di Md dal 2013 al 2016, e di altri esponenti con ruoli dirigenti negli anni passati come Roberto Arata, Daniela Galazzi, Alcide Maritati, Egle Pilla e Rocco Maruotti. Li avevano preceduti, ma con comunicazioni individuali e in sordina, i membri del Consiglio superiore della magistratura Giuseppe Cascini e Giovanni Zaccaro.
Alla base dell’addio c’è la durissima critica nei confronti dell’attuale dirigenza, accusata di «abbandonare il percorso verso Area». Quel percorso, cioè, che avrebbe dovuto portare le due correnti progressiste, Md e Movimento per la giustizia, a dare vita a un gruppo comune, Area, facendolo diventare l’unica voce di pm e giudici di sinistra sia nell’Anm sia nel Csm. Una fusione che, secondo alcuni, si sarebbe prima o poi dovuta tradurre in un vero e proprio scioglimento delle correnti storiche nella nuova «cosa» dal profilo politico meno connotato della storica Md, ritenuta una strumento di rappresentanza delle «toghe rosse» non più adeguato in un’era ormai «post-ideologica».

In tutte le ultime tornate elettorali per il Csm e l’Anm a presentarsi è stata dunque Area, ma la verità è che non c’è mai stata chiarezza su quale dovesse diventare il rapporto fra le correnti originarie e il nuovo cartello. E la scarsa chiarezza ha finito per logorare i rapporti interni alla stessa Md sino allo strappo di ieri.

La componente che fa riferimento al pm romano Albamonte, attuale segretario di Area, già due anni fa all’ultimo congresso di Md aveva deciso di non entrare nell’esecutivo del gruppo, in dissenso con la linea della maggioranza guidata dalla segretaria Maria Rosaria Guglielmi e dal presidente Riccardo De Vito. Una linea ritenuta troppo movimentista e identitaria, cioè troppo «vecchia sinistra», che già allora veniva interpretata come un rallentamento nella costruzione della nuova casa comune delle toghe progressiste. Per la maggioranza, invece, ribadire la funzione di Md quale gruppo «eretico» dentro la corporazione giudiziaria non significava una sconfessione del progetto di Area. Da allora, le posizioni non si sono più riavvicinate, e le differenze di vedute emerse pubblicamente sono state sempre maggiori. Le più clamorose, quelle legate ad alcune scelte compiute dai rappresentanti eletti sotto le insegne di Area nel Csm, e alla gestione della crisi dell’Anm in seguito al «caso Palamara».

Nell’organo di autogoverno il gruppo di Area votò per l’ex numero uno dell’Autorità anticorruzione, Raffale Cantone, quale nuovo procuratore capo di Perugia, una poltrona delicata perché i pm del capoluogo umbro indagano per competenza sui loro colleghi romani. Fu una scelta non condivisa dal gruppo dirigente di Md, secondo il quale non era opportuno che una toga che rientrava in servizio dopo aver ricoperto un incarico governativo – durante il quale Cantone aveva anche accompagnato Matteo Renzi nella visita di stato a Barack Obama – assumesse la guida di un ufficio giudiziario così importante. Altro dissenso sulla decadenza di Piercamillo Davigo da membro del Csm per avvenuto pensionamento: i consiglieri di Area avrebbero voluto che restasse – due di loro votarono contro la decadenza e gli altri tre si astennero – di avviso opposto Md. Ultime in ordine di tempo le furibonde polemiche in seno agli eletti di Area nel parlamentino dell’Anm, il cui esito è stato l’esclusione dei tre membri vicini alla maggioranza di Md dalla giunta esecutiva guidata da Giuseppe Santalucia. I prossimi giorni diranno se altri seguiranno i venticinque fuoriusciti. Ci vorrà tempo, invece, per il congresso di Md: si dovrebbe tenere a gennaio, ma con la pandemia che incombe è probabile un rinvio.