È un mese da dimenticare per gli appassionati di fumetto indipendente, questo agosto 2019. Dopo AkaB, è scomparso anche Massimo Mattioli. Un fulmine a ciel sereno reso ancor più tremendo dalle circostanze. Dopo un silenzio radio che durava dal 2014, anno in cui «Il Giornalino» aveva interrotto le avventure del coniglietto rosa Pinky dopo 40 anni di pubblicazioni, il fumettista capitolino sembrava pronto a tornare in scena. Solo qualche mese fa, Comicon Edizioni aveva portato sugli scaffali l’antologia definitiva dello sceneggiatore e disegnatore classe 1943, Bazooly Gazooly.

TITOLO nonsense per un volume che riassumeva in 228 pagine il Mattioli estremo che i lettori di Pinky avrebbero scoperto solo grandicelli, e che insieme a pezzi da novanta del fumetto underground come Pazienza, Scozzari, Tamburini e Liberatore aveva partecipato alle più grandi epopee del fumetto italiano Anni ’80, su tutte «Frigidaire». Erano testate corsare, quelle, in cui i linguaggi e i generi dei Comics diventavano carne da macello fra le mani degli autori, perennemente intenti in un «taglia e cuci» da cui prendevano vita incredibili storie-frankenstein. Nel mucchio selvaggio, Mattioli metteva il comic relief: merito del suo segno infantile e coloratissimo, figlio della Scuola dei grandi cartoonist statunitensi ma anche della Pop Art.

IL GRANDE MERITO dell’artista resta quello di aver aggiornato la comicità slapstick di Tex Avery & C. alla sensibilità del Post-Pop con opere come «Gatto Gattivo», «Joe Galaxy» e «Squeak the Mouse». Anche quelle storie disegnate avevano come innesco una disputa scherzosa fra antagonisti: ma se i grandi numi del cartoon si erano arresi alla dittatura del politicamente corretto, con personaggi pronti a riprendersi senza danni da ogni possibile alterco, nei corti a fumetti di Mattioli lo snuff era sempre dietro l’angolo. E quindi: sesso a palate, come nei fumetti di Robert Crumb, fra i modelli dichiarati dell’autore. E poi amputazioni, squartamenti, raggi laser, motoseghe, pistole, bombe, mannaie, sangue, sangue, sangue ovunque.

IN QUALUNQUE altro contesto, sarebbe stato troppo: ma non in quel momento storico. E non in una rivista che accostava alle opere buffe di Mattioli le avventure di un androide manesco con annessa fidanzata dodicenne tossica. O le scorribande di un liceale con il naso a becco e un’anima nerissima degna dell’Alex DeLarge di «Arancia Meccanica». O ancora, i servizietti religiosi delle suore dell’ordine delle Masticande. A chi gli chiedeva se fosse uscito dal giro, Mattioli ribatteva di essere ancora in piena attività, ma di non voler pubblicare niente per dispetto a chi intendesse sfruttarlo. La speranza è che lo scrigno segreto prima o poi si dischiuda: c’è da credere che ne leggeremmo delle belle.