Dopo una lunga battaglia contro un cancro al pancreas, è morto a 66 anni Johnny Clegg, il cantore di Nelson Mandela che ha saputo coniugare impegno politico, lotta all’apartheid e ricerca musicale, attraverso una mescolanza di generi legati alla cultura africana che si fondevano con il pop. Musicista, antropologo e ballerino, soprannominato «lo Zulu bianco», Clegg ha raggiunto il successo internazionale schierandosi con i diritti dei neri e contro le barriere razziali imposte dall’apartheid, mescolando influenze zulu con lo stile del pop britannico. Uno dei suoi brani più noti è Asimbonanga, ovvero «non l’abbiamo mai visto» in lingua zulu: un riferimento al fatto che in Sudafrica il regime dell’apartheid vietava ogni accenno alla prigionia di Nelson Mandela. Nel 2008 aveva partecipato a Londra al grande concerto per i 90 anni del leader sudafricano. Figlio di un inglese e di una cantante jazz, poco dopo il divorzio dei genitori Johnny si trasferì con la madre in Zimbawe e poi in Sud Africa fermandosi a Johannesburg.

QUI IL GIOVANISSIMO Clegg – fresco di studi di chitarra classica – venne sedotto dal suono delle chitarre zulu. «Mi sono imbattuto nella cultura e nella musica Zulu – raccontava due anni fa in un’intervista – vivendo insieme ai lavoratori. Era incredibile: avevano preso uno strumento occidentale che era stato sviluppato per sei, settecento anni e l’avevano riconcettualizzato creando un genere totalmente unico di musica per chitarra». Rapito da quella cultura, il giovane Clegg si trova un’insegnante di musica e vive a stretto contatto i lavoratori che lo introducono alla sua loro lingua, alla danza. «Era sconvolgente – raccontava Clegg – per un ragazzo di 16 anni muoversi su un ritmo potente. Volevo diventare un guerriero zulu. Ma ancora più profondamente, questa danza mi offriva la consapevolezza dell’identità africana». A diciassette anni l’incontro con il musicista Sipho Mchunu è decisivo. La loro amicizia rompe tutti i principi dell’apartheid: un uomo bianco che suona con un uomo nero va al di là di ciò che è tollerabile.

IL DUO VIENE censurato in tutto il paese: «Siamo stati costretti ad inventarci mille trucchi per aggirare le leggi che impedivano qualsiasi riavvicinamento interrazziale». Con il tempo le ambizioni crescono e Johnny – che nel frattempo è diventato professore di antropologia all’università di Witmatersrand – vuole portare nella musica zulu influenze rock e celtiche. Ma è difficile trovare etichette interessate alla loro musica: nelle radio sudafricane vige la segregazione e le label non credono che un disco cantato parte in Zulu e parte in inglese possa trovare comunque un pubblico. Ma alla fine ottengono un contratto con Hilton Rosenthal che pubblica nel 1979 Universal Men, il disco del debutto degli Juluka.

UNA DELLE CANZONI inserite nella raccolta – Scatterlings of Africa – diventa una hit in Gran Bretagna. Un successo che gli permette tour internazionali per molti anni fino a quando Sipho decide che è tempo di tornare a casa. Così Clegg fonda una nuova band, Savuka. «Il gruppo – spiegava Clegg – nasce nel 1986 in un momento critico del Sud Africa. Non potevamo ignorare che cosa stava succedendo. L’intero progetto Savuka si basava sull’esperienza sudafricana e la lotta per una migliore qualità di vita e per la libertà». I Savuka negli anni ’80 ottengono grande successo in Europa e in Nord Africa. Asimbonanga è il brano simbolo, dedicato a Nelson Mandela, incarcerato da oltre vent’anni. Il testo è riferito a lui: «Guarda dall’altra parte dell’isola della baia», esorta Johnny.
Dieci anni dopo, l’immagine di Madiba che sale a sorpresa a Francoforte sul palco durante un concerto di Clegg, danzando sulle note di Asimbonanga, diventa simbolica. Dopo un lungo silenzio, Clegg pubblica nel 2006 l’album One Life e nel 2017 – già minato dal male – decide ritirarsi dopo un lungo tour mondiale di addio.