Il viso di George Segal forse non dice molto agli spettatori più giovani, eppure è stata una delle figure di maggior rilievo nel cinema hollywoodiano a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Merito di una faccia, che noi meno giovani ricordiamo, capace di simpatia immediata, anche quando era chiamato a interpretare personaggi decisamente negativi. Forse per questo dopo gli esordi «seriosi» qualcuno ha cominciato a vedere in lui possibilità di interprete brillante. Per iniziare una carriera di clamorosi alti e bassi che lo hanno portato in teatro, al cinema e in tv spesso con esiti contraddittori. Una delle frasi che diceva, riferendosi a se stesso era che si sentiva «come un turacciolo di sughero che immerso nell’acqua sarebbe sempre tornato a galla, pur senza sapere da che parti sarebbe tornato in superficie».

NATO A NEW YORK il 13 febbraio del 1934, da padre e madre entrambi di origini ebraiche russe, George non sembrava destinato alla carriera artistica. Sì, da bambino suonava il trombone e il banjo, ma nulla lasciava presagire. Infatti i suoi esordi teatrali sono piuttosto bizzarri e soprattutto non remunerati. Al Circle in the Square, un teatro off Broadway, sta al botteghino, fa la maschera e vende bibite. Poi la vicinanza lo porta sul palco per una particina in una commedia di O’Neill, e sullo stesso palco, di lunedì, a teatro chiuso, sposa la sua prima moglie, Marion Sobel. Subito dopo deve partire militare.
Congedato decide di provare come attore. Rimedia qualcosa nei teatri off Broadway, poi nel 1961 la prima apparizione cinematografica, roba seria, un dramma medico, Giorni senza fine, di Phil Karlson, accanto a Ben Gazzara e Fredric March. Una piccola parte, sufficiente però per iniziare perché George comincia a macinare scritture con ruoli che cominciano a diventare più consistenti. Infatti nel 1966 arriva Chi ha paura di Virginia Woolf? Diretto da Mike Nichols, accanto a Elizabeth Taylor e Richard Burton che litigano ferocemente tra i fumi dell’alcol. Grande successo e alcuni Oscar, George però si deve accontentare della sola nomination (rimarrà unica). Lo chiamano molti registi, Roger Corman, Michael Anderson, Sidney Lumet, Carl Reiner, Herbert Ross, Ivan Passer, Peter Yates, Melvin Frank, Paul Mazursky e soprattutti Robert Altman che lo affianca a un superbo Elliott Gould per California poker.

I DUE SONO due giuggioloni, Gould interpreta un giocatore compulsivo, Segal invece collabora con un giornale, ma si lascia incuriosire dal gioco e dall’adrenalina, oltre che dai guai. Finiscono a Reno dove il secondo rompe ogni schema e ogni regola riuscendo a mettere le mani su 82mila dollari, salvo scoprire che «è tutto qui?». Segal lo aveva già fatto accanto a Barbra Streisand in Il gufo e la gattina e qui conferma di essere uno squisito attore brillante. Che guarda con occhio ammirato quel che aveva fatto Cary Grant e apprezza la bellezza ma anche la straordinaria bravura di Robert Redford.Nonostante continui a lavorare, anche se molto meno di prima, la sua stella sembra però essersi appannata e gli anni Ottanta lo vedono in diversi film e lavori televisivi ma quasi sempre in secondo piano. Si riaffaccia addirittura – e di nuovo – a Broadway dopo 22 anni, ma sembra avere smarrito il tocco di classe. Molte di queste apparizioni si rivelano dei flop.
Gli anni d’oro sono definitivamente andati, ma questo non gli impedisce negli anni Novanta di godere di ampio credito presso registi della nuova generazione che lo reclutano, seppure in ruoli secondari. Gus Van Sant per Da morire, David O’ Russell per Amore e altri disastri, Ben Stiller per Il rompiscatole e lo recluta anche Barbra Streisand per L’amore ha due facce. Negli anni Duemila è stato il patriarca nella serie televisiva Goldbergs, e poco più.
Ora il sughero George Segal non tornerà più in superficie, per fortuna ci rimangono alcune sue magnifiche interpretazioni che riproposte in tv potrebbero essere riscoperte anche dal pubblico più giovane.