Si chiamava Karl Baumgartner ma per tutti era «Baumi», lo riconoscevi subito nella confusione dei festival, Cannes, Berlino, Venezia, con la massa di capelli bianchi e gli occhi gentili nascosti dietro agli occhiali. Baumi era produttore e distributore, insieme a Reinhard Brundig aveva inventato più di trent’anni fa la Pandora film che giò dal nome cinefilo in omaggio a Il vaso di Pandora di Pabst era una dichiarazione di intenti. La scommessa dei due ragazzi, uno, Baumi, di origine sudtirolese «emigrato» a Francoforte all’inizio degli anni Settanta, era infatti quella di sostenere il cinema di ricerca, indipendente, privilegiando i giovani talenti, spesso loro coetanei, che diventeranno la nuova generazione degli autori del cinema mondiale. E questo fino a oggi, scommessa dopo scommessa, in scenari produttivi mutati dove però Baumi continuava a muoversi con la stessa ostinata passione degli inizi per quel cinema fuoriclasse del quale era diventato un riferimento fondamentale.
Mi viene in mente l’ultimo, magnifico (da noi ancora inedito) film di Jim Jarmusch, Only Lovers Left Alive, che Baumi aveva prodotto, come tanti altri film del regista americano, perché a quel fare cinema Baumi apparteneva per storia, esperienza, cultura raffinata e sensibilità. Adam e Eve, i due protagonisti del film di Jarmush (Tilda Swinton, sublime, e Tom Hiddleston) sono due vampiri cultori e custodi di pratiche e arti antiche in via di estinzione. Pratiche che non hanno più posto nell’oggi, popolato da quelli che Adam chiama «gli zombie». E quando Eve arriva a Detroit per rivedere il suo amante, riempie religiosamente la sua valigia solo di libri. Nel suo studio musicale affollato da strumenti vecchi di secoli, Adam ricorda il quintetto d’archi che ha passato a Schubert. Perché questi vampiri, di tanto in tanto, hanno bisogno di manifestarsi nella storia del mondo, romantici e commuoventi. Ecco, il cinema come rischio, come avventura – il film è stato in concorso al festival di Cannes 2013 – come piacere dentro ai propri amori e lontano dagli «obblighi» di mode e tendenze, a volte visceralmente inattuale. Era questo che attraversava la ricerca di Baumi portandosi dietro una storia, un’epoca, il bruciante desiderio di rivoluzione degli immaginari a cui il film di Jarmush sembra essere dedicato. «Solo gli amanti restano vivi», come la coppia di vampiri eleganti e stralunati che attraversano i secoli con la una consapevolzza lucida sul mondo, forse disincantata, ma mai cinica.
Nei «progetti futuri» di Baumi, moltissimi – ultimamente era tornato anche a lavorare con una nuova casa di produzione nel «suo» sud Tirolo – c’è il nuovo film di Olivier Assayas, Clouds of Sils Maria – che in molti danno già per sicuro sulla Croisette – con Juliette Binoche e Kristen Stewart e The Cut di Fatih Akim.
Lo scorso febbraio la Berlinale aveva consegnato a Baumi il premio alla carriera, la Berlinale Camera, e a darglielo c’era Aki Kaurismaki, un altro dei «suoi» registi.
L’elenco però è lungo. Dagli inizi, quei primi anni ottanta, quando Baumi, comincia la sua avventura nella distribuzione con Yol di Yilmaz Guney – Palma d’oro al Festival di Cannes. Non è un caso, certo, perché Baumi è colto cinefilo, negli anni prima di trasferirsi in Germania ha passato del tempo a Roma, lavorando come assistente alla regia e anche come critico cinematografico. Sono gli anni tra il ’67 3 il ’70, un periodo in cui la scena romana era vitale, underground, irriverente. Sarà Pandora a distribuire Nostalghia di Tarkovskij e Lezioni di piano di Jane Campion, che segna il primo grande successo per la società. Nel frattempo è iniziato anche il lavoro di produzione, sulla stessa linea. Pandora produce Underground di Kusturica, o Faust di Jan Svankmajer, ma la filmografia di Baumi è appunto lunghissima, e soprattutto ci racconta un pezzo importante del cinema contemporaneo, quel cinema non omologato, che rivela inventandoli dei mondi.
O quarto da Vanda,
il capolavoro di Pedro Costa, o Os Mutantes di Teresa Villaverde: dietro c’è sempre lui, Baumi, con quel suo fare discreto, presente ma senza invadere il fotogramma.
É ancora lui a credere a un film come PolaX di Leos Carax, grido d’amore a quel cinema catastrofico non solo produttivamente, ma unico, viscerale, visionario, lontano dai calcoli. Con Carax Baumi torna in Holy Motors, uno dei film più dirompenti degli ultimi anni, atto d’amore per un cinema ormai forse impossibile, che pure è sempre lì e come le limousine di Mr.Oscar, il protagonista, non cessa di stupire. E di provocarci con la sua vitalità inafferabile.
Scorriamo ancora i titoli: Primavera estate autunno inverno e ancora primavera di Kim ki Duk, 35 Rhums di Claire Denis (della quale ha prodotto anche l’ultimo Les Salauds), Miracolo a Le Havre di Kaurismaki, Il sentiero di Jasmila Zbanic, Irina Palme … Un’idea di cinema forte la sua ma soprattutto non chiusa in sé stessa, con speciale predilizione per gli sguardi non formattati. Dote oggi sempre più rara.