Beverly Pepper aveva da poco toccato i 97 anni quando la morte l’ha colta nella sua Todi: negli ultimi tempi, l’età ne aveva minato la salute e limitato il raggio d’azione, peraltro in contrasto con la febbrile attività di questi mesi, indirizzata dalla sua Fondazione e divisa tra la puntata alla Biennale di Venezia, con la mostra all’Arsenale dedicata alla storia delle Todi Columns, e l’inaugurazione autunnale del Parco di sculture «verdi» a suo nome nella città umbra (che l’aveva eletta cittadina ad honorem e dove risiedeva da decenni).
Qui, nel cimitero cittadino, sarà seppellita accanto al marito, il giornalista e scrittore Bill Pepper, conosciuto a Roma negli anni ’40 durante il suo primo viaggio europeo, e all’amico-rivale Alighiero Boetti. L’aneddotica sulla loro amichevole litigiosità è parte integrante della storia dell’artista americana, nata nel quartiere di Brooklyn, a New York, nel 1922. Come molti studenti d’arte statunitensi giunti in Europa abbandonò la pubblicità, il design e la fotografia per dedicarsi alla ricerca pura. Incrociò all’inizio degli anni ’50, proprio a Roma, le avanguardie principali del secondo dopoguerra, avvicinandosi agli artisti di Forma 1, Consagra, Accardi, Dorazio, Turcato. E alla fine di quel decennio, i suoi modi di produzione mutarono radicalmente.

PEPPER ERA SOGGIOGATA dalla scultura: l’interesse andava alle forme primitive, usando materiali poveri e deperibili, come legno e argilla. Le dimensioni delle sue opere sono ancora lontane dalla monumentalità che la renderanno celebre al di qua e al di là dell’oceano Atlantico (pur abitando in Italia, continuò a viaggiare e a tornare soprattutto a New York). L’effettiva notorietà arrivò quando Giovanni Carandente la introdusse tra gli artisti invitati a lavorare alla realizzazione di Sculture nella Città per la V edizione del Festival dei Due Mondi di Spoleto. Consagra, nella sua autobiografia, ricordava lucidamente l’evento: «Nel ’62 tutto era felice nella vita dell’arte. Carandente era riuscito a organizzare a Spoleto la più grande manifestazione di scultura internazionale nella città. Il massimo godimento mai avuto con tanti scultori nel traffico quotidiano. Il miracolo Carandente si era potuto verificare avendo suscitato l’interesse della cittadinanza, degli industriali e degli artisti». Una mostra en plen air ormai avvolta nella leggenda, che renderà – con il concorso dell’alta levatura degli artisti chiamati a raccolta dal critico – possibile la coesistenza e il dialogo tra fatti artistici, effimeri o meno (ma a Spoleto le sculture di Calder, Consagra, della stessa Pepper sono ancora lì dove furono collocate) e le prerogative urbanistiche di una città.

DOPO QUELL’AVVENIMENTO di portata internazionale, la carriera di Beverly Pepper cominciò a svilupparsi in più direzioni (interessante è il passaggio dalla land art al minimalismo di matrice statunitense, fino alle intersezioni «green» degli ultimi anni), mantenendo una coerenza di fondo nell’impiego di materiali ad uso delle sue sempre più gigantesche opere, ora ospitate in grandi manifestazioni come la Biennale di Venezia, Documenta di Kassel o create ad hoc in contesti urbani – piazze e giardini.
Lo stretto colloquio con la letteratura e con il genius loci (in particolare, il contesto umbro le imporrà, da laica e attenta osservatrice della storia, un ripensamento della spiritualità francescana e del misticismo di Jacopone nelle sculture di alcuni sagrati di chiese), mentre la capacità di tessere relazioni consentì all’artista di rinnovare la lingua della sua opera.