È morto ieri Mario De Biasi, grande fotografo di origine bellunese e vissuto a Milano. Aveva novant’anni. Dove sarà ora Mario De Biasi? Starà già passeggiando in altri mondi, esplorandone instancabile con la sua macchina fotografica ogni piega, ogni colore, ogni forma. Eppure non si può fare a meno di pensare che, con un balzo repentino, si sia portato via un pezzo di storia, anzi tante memorie dell’Italia, ma anche del mondo. Almeno novant’anni, durante i quali mai ha lasciato la sua reflex, passando piuttosto da un registro fotografico imperativo come quello che seguì nel ventennio in cui fu fotoreporter per Epoca (dal 1953) a uno più personale, leggero, scherzoso e intimo con ogni elemento della natura che lo circondava.

Fosco Maraini lo avrebbe definito un Citluvit, «un cittadino della Luna inviato in visita sulla Terra» per studiare, ricercare, scoprire, catalogare e riferire sull’esperienza umana. E Mario De Biasi certamente lo è stato e ora torna alla base, a raccontare quanto scoperto in missione qui. Riporterà gli eventi che hanno cambiato la storia dell’Europa, come i suoi scatti più famosi sulla rivoluzione di Budapest negli anni cinquanta, ma anche di quella parte di mondo orientale a noi più sconosciuta, quando lui giovane italiano si trovò a bere il tè verde con il premio Nobel per la letteratura giapponese Yasunari Kawabata e lo fotografò mentre calligrafava a pennello un componimento poetico nel 1970, o quando, nello stesso anno, riuscì a immortalare il grande Yukio Mishima, patriota e letterato, in un momento privato come gli allenamenti fisici quotidiani, poco prima della sua morte per suicidio.

Mario De Biasi ha saputo raccontare con la stessa naturalezza e perfezione formale le dive del cinema italiane e straniere come i grandi della storia internazionale, i piccoli fatti della sua Italia che cambiava come quelli che segnarono la trasformazione di un Paese lontano come il Giappone in potenza economica e tecnologica. Ma poi ha saputo anche divagare nella natura, cogliendo gli aspetti più romantici dei cambi di stagione, lui che aveva un carattere spigoloso, che era un tipo da pochi complimenti, che sul lavoro sapeva essere meticoloso quanto severo con se stesso e con gli altri. E anche generoso.

Un fotoreporter totale, capace di fare cronaca, costume, cultura con l’obbiettivo. Prova ne è l’ultima mostra che ha fatto all’estero al Japan Camera Museum di Tokyo due anni fa, quando già si dilettava nel collage e nella pittura, ultimi grandi amori di un personaggio davvero senza limiti.