Purtroppo è una generazione che ci sta lasciando. Dopo le recenti scomparse di Gian Mario Maletto, Giorgio Gaslini e Kenny Wheeler, se ne è andato anche Vittorio Franchini. La sua morte, serena, è avvenuta tra il 6 ed il 7 ottobre a Milano ad ottantasette anni; Franchini ha avuto accanto a sé, fino all’ultimo, l’affetto della compagna e fotografa Elena Carminati.

Con il critico musicale, lo scrittore, lo studioso ed esperto di Africa ed Afroamerica milanese se ne va uno dei padri della critica jazz in Italia, una firma prestigiosa de Il Corriere della Sera un autentico studioso, una persona dalla ricchissima umanità. Nell’ultima edizione di Umbria Jazz, quella di luglio, lo si poteva vedere assistere ai concerti in carrozzella, non potendo più camminare, eppure ancora interessato alla musica, a quanto accadeva, alle persone, al dialogo.

Aveva fin da giovane coltivato le passioni dell’etnomusicologia e del giornalismo e, nel tempo, era stato inviato speciale e caporedattore del CdS, vicedirettore de “La domenica del Corriere”, direttore di “Qui Touring” e di svariati settimanali e mensili. Autore per la televisione (“Uno mattina”, 70 puntate di “Dentro l’avventura”) e scrittore di sceneggiati per la radio, ha visto rappresentare suoi lavori al Teatro Romano di Verona ed al “Piccolo” di Milano (con musiche di Gianni Bedori, Gianluigi Trovesi e Gianni Coscia).

Una figura, quindi, di grande spessore, dalla vasta esperienza giornalistica, editoriale, autoriale, di ricercatore. In questa complessità il jazz – o meglio la musica afroamericana – aveva per Franchini una sua centralità, anche perché conosciuto ed amato fin dalla gioventù non solo attraverso i musicisti (era amico, per esempio, di Sonny Rollins ed Ornette Coleman) ma direttamente negli Stati uniti che visitò numerosissime volte.

L’altro fulcro del proprio lavoro e della propria ispirazione – complementare e generativo – era l’Africa e la sua cultura di cui Vittorio Franchini era uno specialista, in particolare per studi sul campo sul popolo dei Dogon (“La casa delle stelle”, Jaca Book 1984; “Mali. Viaggio tra i Dogon il Popolo delle stelle”, Polaris 1999).

Nelle sue spedizioni etnologiche ed archeologiche collaborò, tra l’altro, con il Museo Archeologico ed il Museo di Storia Naturale di Milano, con quello Egizio dei Torino. Si era occupato, tra i moltissimi argomenti e luoghi, anche di Algeria come di chansonnier francesi e di Gorni Kramer in un magnifico volume (“G.K. Una vita per la musica”, Fondazione Sanguanini Rivarolo, 1995).

Dallo stile limpido, ispirato nella dimensione narrativa, divulgativo quanto rigoroso nelle informazioni, Franchini aveva una notevole capacità di “racconto” e sapeva trasmettere il calore dell’esperienza attraverso la mediazione della scrittura. Molti libri, oltre alle migliaia di articoli per giornali e riviste, testimoniano delle sue qualità e tra gli ultimi “Suono nero” (MC editrice, 2003) un lungo viaggio attraverso le società, le guerre e la fame africane; “Il paese della musica felice.

Louisiana, jazz, voodoo e alligatori” (TCI, 2000); “Quando il tamburo creò il mondo” (MC editrice, 2005) sui miti e sulle leggende africane relative alla musica; il narrativo “Jazz Tales”, insieme ad Elena Carminati ed alle sue foto (earBOOKS, 2007).

Vittorio Franchini è stato un maestro ”gentile” ed autorevole per molti, soprattutto per la profondità delle sue motivazioni e l’umanità dei suoi rapporti, sempre basati sulla condivisione e l’allegria. E’ il caso di ricordarlo con le parole che Ornette Coleman gli scrisse e che vennero usate come incipit di “Jazz Tales”: