Stan Lee ha rivoluzionato il ventesimo secolo. E lo ha fatto creando una nuova mitologia. Un pantheon di eroi che hanno riscritto le leggi della percezione. E del principio di realtà. La storia di Stan Lee – morto ieri a 95 anni – affonda le sue radici nell’editoria pulp, quella vera. Quando la Marvel era ancora la Timely, il giovane Stanley Martin Lieber svolgeva qualsiasi lavoro pur di stare vicino alle rotative e all’inchiostro. E mentre la DC Comics creava il suo empireo dei supereroi, ricalcato sulla mitologia greca, Stan Lee crea il fumetto moderno. La sua formula, «supereroi con superproblemi», ripetuta oggi come se fosse un’ovvietà, è stata un’intuizione formidabile. Come rendere credibili esseri dai poteri quasi divini se non avvicinandoli ai lettori, alle loro paure, speranze e desideri?

NON SI PUÒ CAPIRE mai niente di fumetti se non si comprende quella che per ogni lettore è il momento fondativo: il momento in cui si sprofonda nella lettura e si finisce per credere all’Uomo Ragno o ai Fantastici 4 non per perché convinti che si possano sfidare le leggi della biologia o della fisica, ma perché il realismo documentario di una mimesi sentimentale e psicologica rende credibile il ritratto di eroi che di eroico non hanno più nulla se non i loro limiti. Stan Lee sapeva bene che per toccare i suoi lettori gli eroi dovevano tornare sulla terra. Questa intuizione «neorealistica» è stata la vera nouvelle vague del fumetto. E i lettori che stringevano fra le mani gli albi della Corno, editi da Luciano Secchi (alias Max Bunker…), non consideravano il Dr. Strange o Devil dei supereroi ma persone.

Non solo: Lee ha umanizzato i freak. Lee ha reso la mostruosità accettabile, desiderabile. Gli eroi di Lee sono dei mostri: uomini di pietra, di fuoco, di gomma, di ghiaccio; donne insetto, feline, simili a uccelli… Con l’aiuto indispensabile di artisti geniali come Jack Kirby, Steve Ditko, John Romita, Bill Everett, Gene Colan, John Buscema, Lee ha creato un pantheon di mostri (in senso strettamente etimologico) che ha allevato generazioni e generazioni di lettori, i quali hanno imparato a mettere in discussione l’ordine delle cose. Basti pensare a Capitan America, esempio fulgido di un New Deal sempre vivo (e che persino Roosevelt avrebbe apprezzato); attraverso l’eroe a stelle e strisce la Marvel ha sempre raccontato un paese in lotta con se stesso.

LA SUA MITOPOIESI non ha eguali. In fondo il vero supereroe è proprio Stan Lee: è lui che ha trasformato radicalmente il mondo dei suoi lettori e ha creato un nuovo paradigma. Nessun autore di fumetti ha potuto, dopo di lui, ignorare la portata della rivoluzione copernicana che ha saputo così bene introdurre. Il disegnatore nato a New York il 28 dicembre 1922, come un nuovo Omero, ha dato vita ad eroi che si rigenerano in continuazione, adattandosi a ogni nuova epoca pur conservando la loro identità di fondo. Mitologia moderna. Eroi che attraverso riscritture, cambi di mano e di costume, restano scolpiti nella loro identità nella percezione che ne hanno i lettori.

BISOGNA essere passati attraverso pomeriggi interminabili consumando gli albi Corno e fremendo per la sorte degli X-Men, di Devil, imparando ad assaporare le storie sin dai titoli di testi e riconoscendo il tratto dei disegnatori e persino delle chine (i crediti geniali posti in testa a ogni nuova storia che identificavano gli autori). Stan Lee è stato un portento. Un alieno. Il cantore di un altro mondo possibile. L’alfiere di una rivoluzione editoriale inarrestabile. L’uomo che ha creato persino una collana di albi dedicati ai Kiss, per dire. Stan Lee non morirà mai, ma ci piace credere che in una remota parte dell’universo è appena apparsa una supernova che ci guiderà ancora per moltissimo tempo.