Di sé il pittore Sergio Dangelo (al secolo Sergio Reggiori, Milano 19 aprile 1932-4 gennaio 2022) ha sempre detto di essere l’ultimo surrealista. Ci teneva meno a ricordare che nei primi anni Cinquanta, giovanissimo, con Enrico Baj aveva fondato il Nuclearismo, grazie a cui aveva riunito sotto le insegne della minaccia atomica una compagine di giovani pittori milanesi: fu una risposta tutta europea al contraccolpo della pittura d’azione e per dargli nuove ragioni esistenziali, ma Dangelo non è riducibile a questo.

Nella sua irrequietezza, lui che aveva conosciuto Breton a Parigi, aveva letteralmente girato l’Europa, stabilendo rapporti e scambi con gli altri gruppi d’avanguardia, mescolando le carte con esiti inaspettati. Quando nel 1954, insieme a Baj e Asger Jorn, mette in piedi gli Incontri Internazionali della Ceramica ad Albisola – dove sarà sempre di casa- arrivarono gli artisti Co.Bra, mentre sulle pagine de Il Gesto, aperta l’anno successivo, si incontreranno Manzoni e Jaguer, oltre il benevolo sostegno di Lucio Fontana.

LA MAPPA DEI VIAGGI e degli spostamenti ancora sfugge, e così la rete delle relazioni che si sono protratte nel tempo: una per tutte quella con il pittore E.L.T. Mesens – alla cui conoscenza in Italia aveva dato un contributo fondamentale – o l’amicizia con Serge Vandercam. A sorreggerlo era un’intelligenza funambolica e irriverente, una conversazione sanguigna e imprevedibile, e una capacità di mischiare in un unico flusso, come in pittura e nel collage, memoria diretta e arguzia spiazzante.

Era l’effetto di una curiosità vorace, di una frenesia creativa sorgiva e non mediata che trovava un angolo di quiete in un dialogo a distanza con la cultura orientale, mediata da pittori di stanza a Milano come Hsiao Chin e Ho Kan: la rarefazione evanescente assunta dalla sua pittura all’aprirsi degli anni Sessanta – quella che porterà in una sala della Biennale di Venezia del 1966 – non era estranea a quelle frequentazioni. La tramatura vibrante e nervosa degli anni Cinquanta, successiva al manifesto Contro lo stile (1957), aveva lasciato il posto a un racconto dal segno elegante come una scrittura, fluttuante in un limbo iridescente e trasognato.

EPPURE, qui, con titoli stralunati e inaspettati, aveva messo una nota di dissacrante ironia, capace di parodiare D’Annunzio, o di restituire con un sottofondo Jazz i Ritmi dell’autostrada, come titolava uno dei suoi quadri più belli, tirato fuori nel 2020 da Francesco Tedeschi a Casa Boschi Di Stefano per la mostra Ancora a sempre: nelle stanze dell’ex scuola di ceramica si erano rivisti, finalmente, alcuni dei suoi capolavori, acquistati dai coniugi di via Jan fra 1956 e 1958. Sarebbe stata la sua ultima mostra pubblica, e non lo si sapeva: di certo l’unico omaggio che la sua Milano – altrimenti sorda e indifferente, se non per la cura devota di collezionisti e amici – gli abbia tributato in vita. Ma Dangelo stesso, maestro di Kendo oltre che pittore, sapeva bene che era questo il destino dei veri surrealisti.